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La storia della veronese Mariangela

«Difendo la Toffa,
la felicità si trova
anche nel dolore»

La storia della veronese Mariangela
Mariangela Tarì con il marito e i figli
Mariangela Tarì con il marito e i figli
Mariangela Tarì e Lucia Dovigo

La sua storia è finita nel «frullatore» dei social nel tentativo di difendere la «iena» Nadia Toffa, insultata e minacciata per aver osato definire il tumore che l'ha colpita «un dono, un'occasione». Mariangela Tarì è una veronese con una vita davvero difficile, costretta a sopportare uno dei dolori più grandi per una madre: la malattia, rarissima e disabilitante, di una figlia, Sofia di soli 8 anni. E come se non fosse stato abbastanza, il figlio più piccolo, Bruno di 6 anni, è stato colpito da un tumore particolarmente aggressivo al cervello. Ora anche lui sta lavorando per recuperare tutte la capacità motorie.

 

E proprio Mariangela, che potrebbe essere la più giustificata a inveire contro Dio, il destino e l'universo, a odiare tutto e tutti, ha invece scritto un post pieno d'amore per spiegare perché è «necessario, anzi indispensabile, trovare un dono, un qualcosa di positivo anche nel dolore più atroce». In una lettera diventata virale (ripresa anche da Repubblica), alla quale ha risposto la stessa Toffa, Mariangela ha spiegato che «il dono è cogliere, in mezzo alla bufera, qualcosa che ne dia un senso. Il mio dono è stato comprendere fino in fondo che la vita è qui e ora. Che potrebbe non esistere un domani». E agli hater ha «urlato» sottovoce: «Lasciateci l'illusione di aver avuto almeno alcuni doni in cambio, non ricordateci che forse il peggio deve ancora venire. Perderemmo la battaglia».

 

LA FELICITA' ANCHE  NEL DOLORE.«Sofia non parla per via della sindrome di Rett, una strega che te la ruba un giorno alla volta», spiega Mariangela. «Quando mio figlio Bruno si è svegliato da due mesi di coma post operatorio avevo perso 15 chili in 20 giorni, avevo i capelli bianchi, ero guardata a vista dallo psicologo dell'Abeo, ero a pezzi. E Bruno mi guardava spaventato. Allora ho compreso che stavo sbagliando: se io sorridevo, lui sorrideva, se mi vestivo di colori accesi, mi diceva “mamma sei bella”. Il pianto non aiuta, anzi allontana. La strada per la felicità si può trovare anche in una situazione come la nostra, ma nessuno deve permettersi di ricordarti che puoi perdere».

 

L'ASSOCIAZIONE AIRETT. Mariangela ha anche deciso di impegnarsi per l'avvio in città di una nuova associazione: Airett, nata in vicolo Volto San Luca, 16 solo qualche mese fa che però ha già avviato una start-up dedicata alle ragazze e bambine colpite dalla sindrome di Rett. Lucia Dovigo, la presidente, spiega che si tratta di una malattia rarissima che colpisce una bambina su 10mila. Una sindrome terribile che si presenta tra i 2 e i 4 anni d'età quando le bimbe smettono di parlare e correre per finire in carrozzina, incapaci di comunicare, talvolta – come Sofia – in grado di farsi comprendere solo muovendo gli occhi. «Il cancro unisce, la disabilità allontana», racconta Mariangela, «per Bruno si è mosso il mondo, il cancro si sa cos'è e tutti si fanno in quattro per aiutarti a combatterlo. Chi ha la sindrome di Rett resta solo». Per questo è importante il lavoro che Lucia Dovigo sta facendo: «Abbiamo creato un pool di professionisti, famiglie, bambine e tecnici per studiare e realizzare degli ausili disegnati sulle necessità di chi ha questa malattia», racconta. «Fondazione Vodafone ci ha sostenuto in modo formidabile e abbiamo potuto creare un progetto con le scuole per permettere alle bimbe di interagire. Ma la strada da fare è ancora tanta, soprattutto nell'ambito della ricerca. Essendo una malattia rarissima, c'è poco interesse».

Giorgia Cozzolino

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