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VERONESE UCCISO

Delitto in Venezuela
Spunta l’ombra
di un mandante

L’imprenditore di San Bonifacio ucciso in Venezuela, Andrea Polo, durante una delle sue avventure
L’imprenditore di San Bonifacio ucciso in Venezuela, Andrea Polo, durante una delle sue avventure
L’imprenditore di San Bonifacio ucciso in Venezuela, Andrea Polo, durante una delle sue avventure
L’imprenditore di San Bonifacio ucciso in Venezuela, Andrea Polo, durante una delle sue avventure

Gli inquirenti stanno stringendo il cerchio attorno all’assassino di Andrea Polo, l’imprenditore di San Bonifacio, ucciso a San Cristòbal in Venezuela. Al suo assassino o all’eventuale mandante dell’omicidio: qualcuno, infatti, potrebbe aver assoldato dei professionisti per ammazzare Polo, sparandogli un solo colpo letale, tra il petto e il torace, lunedì mattina, mentre andava al lavoro.

I figli dell’imprenditore si stanno mettendo a completa disposizione della polizia. Il più giovane, Oscar, ha ripercorso più volte il tragitto che dall’abitazione di Polo conduce fino al cantiere, dove il sessantatreenne aveva il ruolo di supervisore. L’obiettivo era individuare eventuali telecamere presenti sul percorso, che potrebbero aver ripreso le moto su cui stavano viaggiando lunedì Polo e i suoi aggressori.

«La polizia sembra essere a buon punto, ma noi non ci fermiamo, finché non si sarà scoperto chi ha ucciso nostro padre», spiega la figlia Monica. «La situazione è più seria di quanto si potesse pensare: per questo ci hanno messo tutti sotto scorta».

Qualche sospetto, i figli, ce l’hanno. L’ipotesi della rapina, a dispetto delle prime notizie uscite sulla stampa venezuelana, loro l’hanno scartata fin da subito. Nemmeno l’idea di un rancore covato nell’ambito lavorativo pare convincerli. La teoria più plausibile sembra quella di un omicidio legato a ragioni finanziarie. Soldi. Maturato forse proprio nella cerchia più stretta di Polo. Per questo i figli preferiscono non sbilanciarsi troppo.

Quel che è certo è che il dolore nella famiglia Polo, al di qua e al di là dell’oceano, è profondo. A San Bonifacio, dove l’anziana madre non riesce a capacitarsi di aver perso un figlio così. E in Venezuela, dove i tre figli stanno cercando di capire chi poteva volere la morte del padre.

«Il cantiere di El Campo era stato aperto in dicembre: dopo le vacanze di Natale, i lavori erano ripresi e mio padre dedicava metà giornata a quel complesso residenziale e l’altra metà alla mia casa», racconta Monica, con la voce rotta. «Lui era un uomo che portava a compimento sempre tutti i suoi progetti e, invece, la mia casa l’ha dovuta lasciare a metà». Un cantiere aperto e fermo, che ogni giorno le ricorda la tragica fine del padre. «L’autopsia è stata eseguita lunedì pomeriggio, subito dopo l’omicidio, e martedì sono stati celebrati i funerali», prosegue la donna. «Lui diceva sempre che il suo corpo avrebbe dovuto essere cremato», conclude la figlia di Polo. «Voleva che le sue ceneri fossero sparse sulle montagne dove volava con il suo parapendio, perché in Venezuela si può. Quando si è di fronte a una morte per fatti di sangue, però, qui la cremazione non si può fare». E così Polo, spirito avventuriero in vita, ha dovuto rinunciare con la morte alle montagne e agli spazi liberi e incontaminati che tanto amava del suo Venezuela. M.TR.

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