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L’INTERVISTA

Covid, la professoressa Tacconelli: «Le regole? Ora necessario un approccio più flessibile»

La professoressa Evelina Tacconelli
La professoressa Evelina Tacconelli
La professoressa Evelina Tacconelli
La professoressa Evelina Tacconelli

Allentare le misure di gestione del Covid, è sostenibile dal punto di vista della scienza? O è un azzardo? La professoressa Evelina Tacconelli, direttrice del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, riconosciuta a livello internazionale quale esperta di virus ed infezioni, un pedigree che la vede consulente dell’ateneo tedesco di Tubinga piuttosto che dell’Agenzia Italiana del Farmaco, messa dall’Europa a capo di studi e sperimentazioni internazionali sul Covid, la numero uno in Italia nell’uso delle terapie monoclonali, membro della task force di crisi del Veneto, non ha dubbi: «Il Coronavirus va sburocratizzato. Bisogna alleggerire il sistema farraginoso del monitoraggio. Negli ospedali stiamo andando bene, sempre meglio, ed è questa la cartina tornasole che a noi clinici fa tirare un sospiro di sollievo».

 

Allargare le maglie con Omicron che impazza non rischia di farci tornare indietro?

Credo che le decisioni di sanità pubblica siano il frutto non solo di valutazioni prese sulla base di dati scientifici ma anche sulla sostenibilità degli interventi e sull'impatto sull’economia e sulla qualità della vita dei cittadini. Sulla base delle mie competenze, da medico che ha scelto di dedicare la vita alle infezioni, penso che un approccio più flessibile in questo momento fosse assolutamente necessario: la situazione epidemiologica lo permette; le armi a nostra disposizione, pure. Quello che ancora la scienza ci offrirà, in termini di nuove cure e terapie, apre all’ottimismo.

 

La principale richiesta delle Regioni, Veneto in testa, è limitare la definizione di «caso positivo» solo a chi è sintomatico. L’urgenza è politica. Regge, per la scienza?

Bisogna fare una distinzione. Io penso che sia opportuno cambiare questo concetto sicuramente rispetto al sistema della classificazione delle regioni: il “caso“ utilizzato come indicatore per l’assegnazione delle aree in base al rischio di contagio, meriterebbe sì una riformulazione. Poi, è chiaro, dal punto di vista di indicazioni ai cittadini, tamponare solo i sintomatici comporta un pericolo. Basta esserne consapevoli. O trovare la “quadra“.

 

I governatori chiedono di portare l’isolamento per i vaccinati con 3 dosi a 3 giorni. E’ sostenibile in termini di salute pubblica?

Sì, per me sì. Concordo con questo approccio che sottolinea anche l'importanza della vaccinazione per ridurre il rischio di ospedalizzazione. Non ha senso continuare ad applicare gli stessi metodi pre-vaccinazione. Oggi lo scenario è completamente diverso dal 2020: allora non avevamo niente per prevenire la malattia e molto poco per curarla. Oggi la situazione è più a nostro favore: c’è la profilassi e ci sono terapie all’avanguardia, come le monoclonali, che addirittura evitano l’ospedalizzazione.

 

Ospedali: chi entra per motivi diversi dal Covid e ha tampone positivo, potrebbe non essere contato come «numero Covid»?

Sarebbe un gran passo in avanti per le attività ospedaliere. Concordo pienamente e sono settimane che io personalmente chiedo di considerare questa modifica. E' importante anche per ridurre il rischio di ritardo delle cure in chi non ha bisogno di terapie Covid ma di altro. Cosa che, purtroppo, accade oggi troppo frequentemente. Torniamo a monte: la differenza, in questa situazione che ripeto è totalmente diversa da quella iniziale, la fanno i sintomi. Un caso è se un paziente sviluppa malattia, tutt’altro se viene “per caso“ scoperto positivo ma sta bene.

 

Scuola, non sarebbe più chiara una regola unica, senza variabili? Tipo: positivi a casa, tutti gli altri in presenza.

Non mi considero una esperta di scuola ma da un punto di vista scientifico posso dire che più gli interventi sono articolati e più alto è il rischio di errori o di fallimento. Detto questo, a livello personale, ora che la scuola è stata riaperta e s’è verificato che il contagio dentro alle aule non corre più che fuori, mi viene da dire che, appunto, “normalizzare“ la vita dei bambini e dei ragazzi è prioritario rispetto ai danni di una Dad con cui, sono certa, in futuro faremo i conti. Non possiamo più lasciare i nostri figli chiusi in casa. Non è così che si risolve il problema virus.

 

Verifica del Green Pass: non è fuori luogo invocare la Privacy per impedire di conoscere lo stato di un lavoratore?

Dal 15 febbraio scatta l’obbligo di vaccino. Credo che in tempo di pandemia alcune leggi, come appunto quella della privacy, vadano riviste o almeno vada data la possibilità al singolo cittadino di comunicare il dato alle istituzioni competenti, se vuole. Faciliterebbe di gran lunga tutti e non credo comporterebbe discriminazione per i non vaccinati. Anche il tracciamento degli operatori sanitari, chiede Zaia, andrebbe fatto solo sui sintomatici, mentre gli asintomatici con le tre dosi dovrebbero continuare a lavorare. Da infettivologa dico che sarebbe un rischio ma comprendo la necessità di ritornare ad una vita normale. È anche vero che se quasi il 90% dei cittadini si è vaccinato vuol dire che la maggioranza ha anche un forte senso civico. Chi rischia di più in questo approccio sono i non-vaccinati ed i fragili, come i trapiantati e gli oncologi: ecco, al di là di ogni possibile strategia, queste persone dovrebbero sempre avere molta attenzione nei loro contatti per ridurre il rischio di infezione.

 

E’ possibile arrivare a gestire il positivo sintomatico come l’influenzato e permettergli, superata la malattia, di tornare alle proprie attività con un tampone fai-da-te?

Sì, se è un positivo sintomatico vaccinato senza altre malattie. Per gli altri, invece, va valutato caso per caso. Voi scienziati dite che stiamo andando verso l'endemia ma quando il Covid diventerà una «normale» forma influenzale? Se avessi la risposta non avrei fatto l'infettivologa... e sarei senz'altro più ricca.

Camilla Ferro

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