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Parla il biostatistico

Contagi, Verona in testa: «Qui siamo già al picco, ma c'è incertezza sui tempi della discesa»

Massimo Guerriero, il biostatistico veronese che studia l’andamento del Covid
Massimo Guerriero, il biostatistico veronese che studia l’andamento del Covid
Massimo Guerriero, il biostatistico veronese che studia l’andamento del Covid
Massimo Guerriero, il biostatistico veronese che studia l’andamento del Covid

Verona testa di serie in Veneto per diffusione di contagi. Sono sessantamila gli attuali positivi della nostra provincia: diecimila in più rispetto a Padova, città più popolosa e che per prima è stata colpita dalla quarta ondata. Ma il record scaligero non è solo per il numero di contagi e per la mortalità (2.810 decessi da inizio pandemia, oltre un quarto del totale veneto), ma anche per il rapporto di positivi ogni mille abitanti: 58,24 per Verona. Dietro vengono Rovigo con 52,7 e Treviso con 51,7. A seguire Padova con 49,2, Vicenza 48,2 e Venezia 41,8.

«Non credo sia solo una questione geografica», spiega il biostatistico Massimo Guerriero che segue gli andamenti delle curve fin dall’inizio della pandemia, «quanto anche di un modus operandi del Veronese legato a un particolare tessuto economico-sociale che ci porta ad avere diversi contatti che forse agevolano i contagi. Tuttavia la differenza in eccesso dei dati di Verona rispetto alle altre città venete, statisticamente non ha una valenza enorme».

A livello nazionale e veneto si parla, però, di raggiungimento del picco della quarta ondata, motivo per poter iniziare a sperare davvero in una discesa. Ma i dati di Verona dicono che la situazione è ancora in stallo. E la guarda con prudenza, Guerriero: «Di certa c’è solo l’incertezza», ammette. «Siamo nei giorni clou, perché, come avevamo previsto, il picco ha ritardato di qualche giorno e si sta manifestando appunto dopo la metà di questo mese. Ma vediamo nelle curve una continua altalenanza. Siamo in vetta, non ci sono dubbi. Ma anche in precedenza abbiamo osservato che, una volta raggiunto, il picco si è rivelato un picco relativo, con una curva che è scesa e poi è risalita».

Servirà ancora pazienza, insomma. Occorrerà attendere fine mese: «Ora osserviamo nelle curve le situazioni attuali. Gli effetti di Natale e delle festività li abbiamo già visti. Servono, invece, due settimane per capire come ha inciso la ripresa delle scuole e del lavoro. Anche se le molte classi in didattica a distanza ci dicono molto. Entro fine gennaio potremo con certezza fare previsioni su cosa succederà nei prossimi mesi».

Siamo al picco, insomma, ma non sappiamo se è relativo. «E non sappiamo neppure quanto sarà rapida la discesa», continua Guerriero. «La Germania aveva registrato un calo di contagi con i lockdown ad hoc, che poi è invece ripreso e ora la discesa è lenta. Al contrario, dà più speranza la situazione in Gran Bretagna che ha conosciuto una forte impennata e poi una altrettanto forte discesa. Vediamo dunque che a parità di condizioni nei Paesi le velocità di salita e discesa sono diverse ed è impossibile dire cosa accadrà in Italia».

Per lo studioso di biostatistica, adesso siamo davanti all’incognita più grande tra quelle vissute in questi due anni: «Perché qui si sommano le presenze di due varianti, delta e omicron, che hanno comportamenti diversi. A fine mese la omicron soppianterà la delta e, se non arrivano nuove varianti, sarà più facile fare previsioni. L’indicatore Rt è in calo a livello nazionale e l’incidenza ha rallentato, quindi a fine gennaio saremo di fronte a un calo effettivo».

Restando nell’ambito delle statistiche, infine, Guerriero rileva l’incidenza del vaccino sulle possibilità di chi non ha una copertura anticorpale di contrarre una forma grave di malattia. «La differenza tra vaccinati e non vaccinati si sta aprendo sempre di più non solo per i contagi, ma anche per ospedalizzazioni, terapie intensive e mortalità». Un non vaccinato ha 1,6 volte in più di possibilità di avere una diagnosi di positività. Ma soprattutto, ha 7,7 volte in più di possibilità di essere ricoverato in ospedale, 15 volte in più di finire in terapia intensiva e 8,3 di morire. Questi sono dati di media nella popolazione vaccinabile dai 12 anni in su. Ma se si prendono in analisi le fasce d’età più anziane, dai 60 anni, queste medie aumentano di gran lunga.

«Sono dati che si aggiornano ogni giorno e che puntualmente segnalano un aumento della differenza tra vaccinati e non. Il covid19, inoltre, resta legato all’età. L’obbligo di vaccino agli Over50 non è stato dato a casaccio e la omicron trova terreno soprattutto tra chi di queste persone non è vaccinata».

Maria Vittoria Adami

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