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Il 54mo rapporto

Censis fotografa l'Italia della pandemia: «Una ruota quadrata che non gira» tra lavoratori vulnerabili e analfabeti digitali

Il Censis fotografa gli italiani della pandemia
Il Censis fotografa gli italiani della pandemia
Il Censis fotografa gli italiani della pandemia
Il Censis fotografa gli italiani della pandemia

«Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi dell’epidemia». Lo evidenzia il 54° Rapporto Censis. «Il virus ha colpito una società già stanca», si rileva: «Quest’anno però siamo stati incapaci di visione» e «il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un’alta via».

 

ITALIANI FAVOREVOLI ALLE RESTRIZIONI NATALIZIE. Quasi l’80% degli italiani si dice a favore della stretta in vista delle prossime festività. «In vista del Natale e del Capodanno - si legge - il 79,8% degli italiani chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle. Il 54,6% spenderà di meno per i regali da mettere sotto l’albero, il 59,6% taglierà le spese per il cenone dell’ultimo dell’anno. Per il 61,6% la festa di Capodanno sarà triste e rassegnata. Non andrà tutto bene: il 44,8% degli italiani è convinto che usciremo peggiori dalla pandemia (solo il 20,5% crede che questa esperienza ci renderà migliori)».

 

VIRUS AUMENTA GAP TRA RICCHI E POVERI. «Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza coronavirus e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti». Se da un lato, da marzo a settembre 2020 «ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza (+22,8%)», dall’altro 1.496.000 individui (il 3% degli adulti) hanno una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell’epidemia.

 

5 MILIONI DI LAVORATORI "SCOMPARSI". «Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha anche confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no». Lo rileva il 54.mo Rapporto Censis, evidenziando come, se da una parte «i garantiti assoluti» sono i 3,2 milioni di dipendenti pubblici, a cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione ‒ una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà («un silver welfare informale»), sul versante opposto «c’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore».

 

LAVORATORI VULNERABILI. Nelle «sabbie mobili», secondo il Censis, c’è «il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende». C’è quindi la «falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva», si legge nel rapporto: «Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati.

 

AUTOIMPRENDITORIALITÀ VISTA COME AZZARDO. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e ‒ nel Paese dell’autoimprenditorialità ‒ solo il 13% lo considera ancora una opportunità».

 

COMPETENZE DIGITALI, ITALIA FANALINO DICODA. «Nel 2019 la quota di italiani di 14-74 anni con un livello di competenze digitali di base o superiori era pari al 42%, un valore inferiore di 14 punti rispetto alla media europea (56%) e molto distante da Paesi Bassi (79%), Finlandia (76%) e Svezia (72%)».  Dopo l’Italia si collocano, «in penultima e ultima posizione, Romania (31%) e Bulgaria (29%)». «Gli analfabeti digitali sono più presenti nelle classi di età più elevate (il 14% tra i 65-74enni e il 30% tra i 55-64enni), meno tra le nuove generazioni (il 65% dei 16-24enni possiede adeguate competenze digitali) - si legge -. Solo il 18% delle persone con un basso livello di istruzione è digitalmente competente».

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