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TERREMOTO SULL’ACCOGLIENZA

Caso Fresco, un commissario per gestire i profughi della Virtus

Luigi Fresco
Luigi Fresco
Luigi Fresco
Luigi Fresco

Sarà probabilmente un amministratore giudiziario nominato dal giudice a occuparsi degli oltre duecento richiedenti asilo assistiti dalla cooperativa Virtus, il cui legale rappresentante, Luigi Fresco, a conclusione di un’indagine della Guardia di Finanza, è accusato di reati molto pesanti nella gestione dell’accoglienza. Tra questi: truffa aggravata nei confronti della prefettura e autoriciclaggio. Avviata la procedura di revoca degli affidamenti, adesso il problema è il futuro delle persone assistite.

 

Nell’occhio del ciclone La bufera giudiziaria che ha travolto Fresco ha riacceso i fari sulla realtà dell’accoglienza di profughi e migranti nel Veronese. Realtà che nell’ultimo decennio è stata al centro dello scontro politico, come testimoniano le prime reazioni, nelle stesse ore in cui la notizia dell’inchiesta stava diventando di pubblico dominio, di esponenti di partiti della destra contro il «business dell’accoglienza». Epicentro di molte polemiche era stato, fino al 25 marzo 2019, giorno in cui gli ultimi nove ospiti furono trasferiti altrove, la tenuta di Costagrande, sopra Avesa, di proprietà di un imprenditore del turismo, che per quattro anni era stata la prima «casa» di circa 3.500 profughi che vi approdavano assiepati in pullman e ancora avvolti nel telo termico giallo ricevuto dopo lo sbarco.

 

Il «caso» Costagrande Nei loro confronti non ci fu certo un caloroso benvenuto. Contro l’apertura del centro manifestarono Lega e Forza Nuova. Contestati, a loro volta, dagli antifascisti. Tre giorni prima a protestare erano stati alcuni abitanti di Avesa. Nell’ondata dell’emergenza, fra l’estate e l’autunno del 2016, la tenuta era arrivata a ospitare anche cinquecento persone, perlopiù africani tra i 18 e i 25 anni. Per accoglierli tutti, nel parco furono montate delle tende, poi sostituite da prefabbricati. Non mancarono le tensioni dovute ai disagi del sovraffollamento. Nei periodi più caldi dell’emergenza arrivavano anche quaranta persone al giorno in condizioni, spesso, critiche. Con ustioni, segni di torture o con la febbre alta. Attualmente, su tutto il territorio provinciale, nei cosiddetti Cas, sono ospitate 1.082 persone. Nell’ottobre 2019 erano 1.577.

 

Nel frattempo, 14 strutture di accoglienza sono state chiuse o dismesse. Il Comune di Verona, da parte sua, garantisce un alloggio, in cinque appartamenti, a 40 rifugiati (chi cioè ha già ottenuto lo status e ha diritto a stare in Italia) inviati dal sistema centrale del ministero dell’Interno. Inoltre ospita 21 minori non accompagnati. La loro gestione è stata affidata, attraverso un bando di gara, a un’associazione temporanea di imprese formata dal Don Calabria e dal Centro italiano rifugiati. Il sindaco, intanto, ha dato la disponibilità all’accoglienza di nuclei familiari in fuga dall’Afghanistan. «È stato pensando a queste famiglie in difficoltà, e in fuga da una situazione umanitaria pesante», spiega Sboarina, «che venerdì ho firmato la richiesta per avere a Verona una dozzina di posti da destinare ai nuclei familiari di rifugiati. Al ministero», aggiunge, «abbiamo dato la disponibilità dei nostri Servizi sociali per due appartamenti destinati esclusivamente a tenere unite le famiglie. È un gesto di civiltà e di solidarietà della nostra città verso chi ha realmente bisogno di accoglienza e può stare regolarmente nel nostro Paese. Adoperarsi per chi rispetta le regole», conclude, «è nel dna dei veronesi».

 

Villa Francescatti Nei giorni scorsi, intanto, la Caritas ha definitivamente chiuso il centro di accoglienza di Villa Francescatti a San Giovanni in Valle. I 20 ospiti sono stati trasferiti, in accordo con la prefettura, a San Zeno, in un edificio dell’istituto Provolo. Sono 128 i richiedenti asilo - siriani, iracheni, afghani, pakistani, curdi, provenienti dall’Africa subsahariana, dall’Eritrea, dallo Yemen - di cui si occupa la Caritas nei progetti di inclusione in collaborazione con parrocchie e volontari. «Il nostro impegno maggiore, ora», riferisce Gianni Tomelleri, coordinatore della Caritas per i richiedenti asilo e i rifugiati, «è su quanti arrivano tramite corridoi umanitari dai campi profughi, accolti senza costi per lo Stato. L’accoglienza», sottolinea, «è un impegno complesso. Se fatto rispettando i parametri molto esigenti della prefettura richiede tanto in termini di risorse umane, professionali ed economiche». E i finanziamenti non sempre bastano. «Come Caritas non facciamo un euro di utile», evidenzia, «e abbiamo sempre garantito il massimo anche quando l’allora ministro Salvini tagliò del 40 per cento le risorse. Abbiamo garantito i servizi sanitari non più coperti, i corsi di italiano e l’acquisto dei libri di scuola, anche se non eravamo più tenuti a farlo».

Enrico Santi

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