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Bentegodi, regge il piano anti Covid

Gli spettatori «disseminati» nella Tribuna est all’entrata in campo dei giocatori FOTOSERVIZIO EXPRESS
Gli spettatori «disseminati» nella Tribuna est all’entrata in campo dei giocatori FOTOSERVIZIO EXPRESS
Gli spettatori «disseminati» nella Tribuna est all’entrata in campo dei giocatori FOTOSERVIZIO EXPRESS
Gli spettatori «disseminati» nella Tribuna est all’entrata in campo dei giocatori FOTOSERVIZIO EXPRESS

Mille dà già un senso di risveglio. Per la vera rinascita, passare oltre. Ieri il Bentegodi (c’era già stato un antipasto con la Roma) ha ospitato i primi fortunati tifosi invitati alla gara casalinga dell’Hellas contro l’Udinese. Ma lo stadio oggi resta teatro e non ancora arena. Troppi vuoti, troppe urla nel silenzio. Manca la Curva Sud. Manca il senso dello stare dentro al Tempio sacro dei veronesi. E molti tifosi, a queste condizioni, si guardano bene da affrontare il ritorno sugli spalti. Sceglie il cuore, il resto lo fa la passione. E ogni tipo di decisione dev’essere catalogata come personalissima scelta dentro ad un contesto storico per certo versi irripetibile. Tutti in attesa di sapere che cosa accadrà dopo il 3 ottobre. Per il Veneto, il presidente Luca Zaia, il 20 settembre ha firmato un’ordinanza che prevede che gli spettatori che possono assistere agli eventi sportivi, siano al massimo 1.000 negli impianti all'aperto e 700 in quelli al chiuso, nei quali sia possibile la preassegnazione dei posti a sedere. L'ordinanza, firmata dal governatore Zaia, vale fino al 3 ottobre. I tifosi «hanno l'obbligo di occupare per tutta la durata dell'evento esclusivamente i posti a sedere specificamente assegnati, con divieto di collocazione in piedi e di spostamento di posto, assicurando tra ogni spettatore seduto una distanza minima laterale e longitudinale di almeno un metro». In attesa di sapere quale sarà il futuro, ieri al Bentegodi i tifosi erano in coda ordinati e silenziosi, pure sotto accenni di pioggia. Refoli di vento cercano di strappare dalle mani dei tifosi del post lockdown, autocertificazioni preziosissime, da compilare con attenzione e respiri lunghi. Anzi, sospiri. Chi entra, o immagina l’entrata, la racconta così: «L’entusiasmo, purtroppo, resta fuori», ammette sconsolato Fabio Grigolini. «I tifosi sono la vera anima che accende tutto. La corsa sotto la Curva dei giocatori del Verona a fine partita resta il vero spettacolo. Ma senza di loro è tutto strano. Avevo il biglietto, volevo regalarmi un’ora diversa in queste domeniche troppo diverse dal nostro passato». Matteo Mameli, vent’anni, si è fatto trascinare dalla voglia di «abbandonare il divano e di rimettere i piedi dentro ad uno stadio. Non ce la facevo più a vivere la partita da casa. Sono contento di tornare. Il primo passo è stato fatto». Gino Serpelloni, storico tifoso e più volte compagno di viaggio dell’Hellas, vive di solitudini retroattive. «Si gioca in... uno in meno. Guardo la Curva vuota e mi rendo conto che stiamo vivendo qualcosa di incredibilmente strano. Ma siamo tifosi. E oggi mi dico: ho la possibilità di entrare, farò parlare il cuore, la testa, le scarpe. Tiferò con tutto quello che posso tifare per il mio Verona. Sperando si possa tornare il prima possibile alla normalità». Vittoria Piccoli, 26 anni, ha scoperto «l’amore per l’Hellas in famiglia. L’ultima volta che ero stata al Bentegodi c’era la Juve e c’erano i tifosi, e lo stadio era pieno. Questa è un’esperienza nuova da vivere. Il Verona fa parte della mia vita. Ricordo una bellissima trasferta a Venezia con mamma. Eravamo in C, ma tutto era comunque bello». Alessandro Cristofoli lo considera «un nuovo inizio, seppur graduale. Chi entra allo stadio sa già di trovare qualcosa di diverso dal passato. Ma la ripartenza è anche questa». Elisabetta Gaspari è ai tornelli, certificazioni e invito tra le mani. Sarà bello? «Sarà tristissimo vedere la Curva Sud deserta». Ma a volte la tristezza, durante il viaggio, cambia faccia. Segna Favilli e il Bentegodi si anima. Finalmente i cori. Non più timidi. In attesa di diventare baritonali al ritorno alla normalità. «Ma al momento», racconta Marco Poccobelli, «dobbiamo accontentarci di questa anomala normalità. I tifosi sono pochi, seduti, distanziati. Ma tifare, per chi entra, è sempre bello. Lo considero riprenderci un piccolo pezzo di una normalità che ci è stata tolta da troppo tempo». Ma l’Hellas resta l’Hellas. C’è chi entra, chi vorrebbe entrare, chi resta fuori per principio, chi sbircia, chi si accontenta della radio e chi, come Matteo, la prende con filosofia. Tifoso Hellas? «Sì». Sei invitato? «No». Entreresti? «Il vero spettacolo siamo noi. Uno stadio vuoto è uno stadio senza spettacolo. Forza Verona». Matteo sale sulla sua Bianchi Anni ’70, accomoda la sciarpa dello scudetto e se ne va. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Simone Antolini

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