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Boom di accessi in ospedale

Anziani «parcheggiati» per giorni in corridoio, al Pronto soccorso è emergenza

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Paziente in corridoio al pronto soccorso di Borgo Trento
Paziente in corridoio al pronto soccorso di Borgo Trento
Paziente in corridoio al pronto soccorso di Borgo Trento
Paziente in corridoio al pronto soccorso di Borgo Trento

Pazienti sofferenti in attesa per giorni nei corridoi. Anziani «parcheggiati» giorno e notte su letti improvvisati, in attesa che si liberi un posto in reparto. Persone lasciate anche tre giorni, nonostante condizioni di salute precarie, spesso senza l’assistenza continua di un familiare, una in fila all’altra, lungo i muri, senza un minimo di privacy, come ci si augura di non dover vedere in un Paese che si considera civile. Stavolta è proprio il Pronto Soccorso, il servizio che è dedicato alle urgenze e alle emergenze, quello in cui ognuno di noi si aspetta di trovare accoglienza e assistenza nelle situazioni più gravi e più estreme, ad essere in piena emergenza.

Accade all’ospedale di Borgo Trento, dove nelle ultime settimane la situazione, che a causa della pandemia è stata per mesi al limite, sembra davvero divenuta ingestibile. «Lunedì mattina mia nonna, 88 anni, si è sentita male e in ambulanza è arrivata al pronto Soccorso di Borgo Trento», denuncia un veronese. «Dopo le prime cure, il medico sospetta un’ischemia e decide per il ricovero. È allora che inizia l’odissea, perché il posto, in reparto, non c’è», racconta. La donna viene posizionata con la lettiga in corridoio, accanto ad altri pazienti in attesa chissà da quanto. Ai parenti, è concesso un solo ingresso al giorno di una persona per un’ora al massimo. Per il resto, la signora rimane sola, con medici e infermieri che le sfilano accanto di corsa, subissati dalle richieste di assistenza in arrivo dal triage. E i giorni intanto diventano tre. «Finalmente, mercoledì sera, l’ingresso in reparto. Con una bronchite, rimediata, secondo il medico, a causa dei colpi d’aria provenienti dalla vicina porta scorrevole. Sono davvero scandalizzato», conclude il nipote. «Com’è possibile che un’anziana in queste condizioni non abbia accesso immediato a un posto letto? Temevamo davvero che potesse finire la sua vita così, da sola, in quelle condizioni».

 

Dieci giorni prima, il copione era stato lo stesso. «Mia madre, 92 anni, è stata portata in Pronto Soccorso sabato 11 settembre e vi è rimasta fino a martedì 14 nel letto in corridoio, con assistenza quasi nulla per il poco personale che doveva seguire circa venti persone, quasi tutti anziani, sistemati in corridoio», denuncia un altro cittadino, parlando di una situazione «disastrosa e vergognosa».

L’uomo è un trapiantato di fegato e suo malgrado conosce bene gli ospedali veneti. «Ho trovato personale sia medico che infermieristico meraviglioso», ammette, «e capisco la loro difficoltà vista la mole di lavoro enorme, ma anche nei confronti degli anziani qualcosa deve cambiare, per rispetto a una generazione che ha creato la nostra ricchezza economica e di valori cristiani». Una grave e inaccettabile inefficienza, insomma, che si era verificata - identica - anche la sera prima. «Tutto il personale che ci ha accolte, dal triage, ai medici, ai paramedici, è stato professionale, attento e premuroso», premette una donna, che a Borgo Trento ha accompagnato l’anziana madre dopo una caduta in casa, «tuttavia non posso omettere di rappresentare che la situazione in cui versa il Pronto Soccorso è disastrosa e contrasta con la visione della sanità veneta come un’eccellenza italiana». L’anziana, infatti, dopo il controllo dei parametri, deve attendere cinque ore per essere visitata. Quindi viene fatta accomodare su una barella in corridoio, dove resterà per i successivi tre giorni mentre alla figlia è consentito di entrare per visitarla in virtù di una perdita di memoria che la madre ha subito in seguito alla caduta.

«La aiutavo ad andare in bagno e a lavarsi, trovandola sempre nel medesimo corridoio, sempre con indosso il vestito e le scarpe, sempre sulla stessa barella, dove teneva tutti i suoi effetti personali: borsetta, bastone, maglione», racconta ancora la donna. «Nelle mattine di sabato e domenica ha dovuto “spartire” con gli altri pazienti presenti i pochi generi alimentari distribuiti per la colazione, da consumare su piccoli tavolini mobili. Nelle notti di venerdì e sabato non è riuscita a dormire sia per la luce a giorno sempre accesa, sia per il movimento del personale medico e paramedico impegnato a lavorare, sia per i forti rumori e le persone sofferenti che gridavano. Domenica sera il medico, che mi ha ricevuta dopo circa un paio d’ore, dopo che lo avevo visto correre da tutte le parti per far fronte alle emergenze, mi ha annunciato che era necessario spostare mia madre in reparto per fare accertamenti più approfonditi, ma che non aveva idea di quando avrebbe potuto trasferirla perché prima di lei c’erano 25 persone più gravi in attesa di un ricovero». Tanto che l’anziana decide suo malgrado di firmare le dimissioni volontarie ed eseguire gli accertamenti di cui necessita privatamente. «Capisco che la situazione non sia ascrivibile al personale», conclude la donna, «ma ritengo inaccettabile che persone malate restino nei corridoi del Pronto Soccorso per giorni, senza un’assistenza adeguata».

 

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Elisa Pasetto

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