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Il virus «serbo» è arrivato a Verona

Un tampone nasale sarà in grado di prevedere il Parkinson
Un tampone nasale sarà in grado di prevedere il Parkinson
Un tampone nasale sarà in grado di prevedere il Parkinson
Un tampone nasale sarà in grado di prevedere il Parkinson

Covid-19: c’è un nuovo focolaio veronese ed è causato dal virus “serbo”. Virus che, come è emerso dagli approfondimenti compiuti dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, è molto diverso rispetto a quello con cui abbiamo fatto i conti in questi mesi in Italia. In Veneto il virus si è presentato sei volte nei giorni precedenti lo scorso fine settimana e altrettante a partire dal 10 luglio. Di questi 12 focolai di contagio, uno è stato rilevato nel territorio dell’Ulss 9 Scaligera. Si tratta di un cluster famigliare relativo a due coniugi di origine romena. Il marito è risultato positivo nel corso delle cure che gli sono state prestate in pronto soccorso, al quale si era rivolto giovedì perché stava male. La moglie ha avuto il giorno dopo il risultato positivo di un tampone che aveva effettuato privatamente. L’uomo è ancora ricoverato in ospedale, mentre la moglie è stata messa in isolamento al pari delle altre sette persone che vivono nella casa in cui risiedono anche lei e il marito. A rendere rilevante la scoperta dei due contagi veronesi, al pari di altri due oggetto dei controlli fatti dall’Ulss 6 Euganea su altrettanti partecipanti a una festa di matrimonio, è il tipo di virus che li ha causati. Secondo quanto spiega Antonia Ricci, la direttrice dello Zooprofilattico, i due tamponi che l’istituto ha ricevuto dall’Ulss Scaligera e quelli padovani «sono identici fra loro e risultano appartenenti a cluster dei virus isolati in Serbia». Stiamo parlando, quindi di virus «ben diversi da quelli isolati finora in Veneto e in Italia». «Nei quattro tamponi la carica virale era molto elevata», precisa la dottoressa che aggiunge che al momento non ci sono studi che possano far associare mutazioni del virus a diverse patogenicità. Non si sa, insomma, se ci siano in circolazione virus con forze diverse rispetto a quello che si è diffuso nel nostro Paese a febbraio. Cosa possa significare concretamente la scoperta del virus arrivato dalla Serbia resta tutto da capire. Ieri il presidente della Regione Luca Zaia ha rassicurato che «in Veneto la situazione è sotto controllo». «Abbiamo certezza di dire che il nostro ceppo di virus è meno virulento, ha una carica virale inferiore», ha poi aggiunto. Ma, detto questo, ha sottolineato «che non bisogna fare festa». Ribadendo la preoccupazione per «ceppi di virus portati da fuori», per i quali la Regione ha intensificato i controlli. Andando a verificare un po’ più nel dettaglio i cluster più rilevanti degli ultimi giorni, c’è un dato che balza subito agli occhi. Dei 31 nuovi casi di positività accertati, nove riguardano italiani e 22, invece, sono stati riscontrati in persone provenienti da paesi stranieri. Di questi positivi, cinque sono del Camerun e altrettanti del Kosovo, tre della Colombia e della Nigeria e due della Romania. Ci sono poi casi singoli di persone provenienti da Bangladesh, Mali, Russia e Senegal. Per restare solo ai sei ultimi focolai, quello veronese è quello che ha i numeri più piccoli. Nel Padovano sono emersi due focolai con tre positivi in una famiglia colombiana e altri tre in un nucleo famigliare camerunense. Nel Trevigiano ne sono stati scoperti tre: due riguardano persone arrivate dal Kosovo, con sette positivi in tutto, e uno una casa di riposo di Farra di Soligo, dove sono positivi otto ospiti e due operatori. A Verona, il bollettino diffuso ieri dall’Azienda zero della Regione ha portato la notizia che dopo alcuni giorni è tornato a crescere, di una unità, il numero dei morti. Dall’inizio del contagio è arrivato a 578. Nessun nuovo caso, però. I coniugi romeni erano infatti stati contabilizzati, come altri, nei giorni scorsi. •

Luca Fiorin

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