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I due alpinisti veronesi feriti «Travolti dalla neve accumulata dal vento»

La «nuvola»  lungo la parete del Gran Zebrù è la massa di neve che precipita travolgendo i due alpinistiDa sinistra, Marco Toffali e Christian Sega durante una delle numerose ascensioni portate a termine insieme. Domenica sono stati travolti da una valanga
La «nuvola» lungo la parete del Gran Zebrù è la massa di neve che precipita travolgendo i due alpinistiDa sinistra, Marco Toffali e Christian Sega durante una delle numerose ascensioni portate a termine insieme. Domenica sono stati travolti da una valanga
La «nuvola»  lungo la parete del Gran Zebrù è la massa di neve che precipita travolgendo i due alpinistiDa sinistra, Marco Toffali e Christian Sega durante una delle numerose ascensioni portate a termine insieme. Domenica sono stati travolti da una valanga
La «nuvola» lungo la parete del Gran Zebrù è la massa di neve che precipita travolgendo i due alpinistiDa sinistra, Marco Toffali e Christian Sega durante una delle numerose ascensioni portate a termine insieme. Domenica sono stati travolti da una valanga

Il tempo adesso è un alleato. I due alpinisti veronesi Marco Toffali, 37 anni e Christian Sega, 29, amico e aspirante guida alpina, resistono e lottano all’ospedale di Bolzano, dove sono ricoverati da domenica dopo essere stati travolti da una valanga, un imponente distacco di neve fresca accumulata dal forte vento, poco sotto la vetta del Gran Zebrù (3.857 metri), seconda cima per altezza del gruppo Ortles-Cevedale. L’incidente è avvenuto intorno al mezzogiorno. Alle 14 l’operazione di recupero era conclusa. L’intervento tempestivo da parte delle eliambulanze «Pelikan 3» e dell’«Aiut Alpin Dolomites» è stato il fattore chiave tra una difficile situazione clinica, Marco è in gravi condizioni, gravissime invece quelle di Christian, e la sicura morte se i soccorsi fossero arrivati solo qualche decina di minuti più tardi. LA DINAMICA. «Christian e Marco erano stati avvistati mentre stavano salendo, lungo la “via normale“, poco sotto la vetta, forse di una cinquantina di metri. Poi è venuta giù la valanga e li ha trascinati fino a circa 3.500 metri di quota». Ubert Moroder, guida alpina (e istruttore) è anche il tecnico addetto al verricello dell’«Aiut Alpin Dolomites» intervenuto domenica sul Gran Zebrù. «È la prima valanga della stagione, innescata dalle nevicate recenti e dal forte vento del giorno prima», conferma. La «roulette» delle probabilità, nel dramma, ha assegnato due caselle a favore degli alpinisti veronesi: l’allarme lanciato per una ricognizione aerea immediata da una squadra del Soccorso Alpino in esercitazione nella zona; e il flusso della neve che li ha spinti sulla sinistra del pendio: se investiti in pieno sarebbero precipitati per 600 metri, senza scampo. Christian, tra le punte di diamante dell’alpinismo veronese e «Premio «Giancarlo Biasin 2016» (il riconoscimento per un cinquantennio assegnato dai gruppi scaligeri alle «giovani promesse», ndr) è stato ritrovato completamente sepolto, solo una mano era visibile. L’amico Marco, anch’egli gravemente ferito, era invece parzialmente sommerso. «Erano legati e anche questo ha fatto la differenza nella velocità dei soccorsi», spiega Moroder. LA GUIDA. «Quella che si è staccata era un grossa valanga “a lastroni“, visivamente quasi “himalayana“ per imponenza», ricostruisce Nicola Tondini, amico di Christian, guida alpina e istruttore di «X Mountain» oltre che anima della palestra «King Rock». «Erano legati correttamente e salivano “in conserva“ (simultaneamente, senza ancoraggi intermedi, ndr), per quanto si può capire, lungo una linea laterale, relativamente protetta dalle rocce. Si trovavano quasi fuori, verso l’alto, dalla zona più pericolosa: se fossero stati investiti nel settore centrale non avrebbero avuto scampo, finendo ai piedi della parete». Poche decine di metri al di sotto del punto in cui gli alpinisti sono stati recuperati si apre infatti il «muro» più ripido del Gran Zebrù. «Non è stagione di valanghe, ancora. Ma i “lastroni“ si formano anche con poca neve, quella che da valle sembra una semplice spolverata, sotto l’azione di accumulo del vento. In un certo senso sono finiti in una “trappola“», ammette Tondini. Christian e la Königspitze, la «Cima del Re» come la definiscono i germanofoni, hanno storia alle spalle: «Io non vi salgo da un po’, ma lui vanta diverse ripetizioni su quella montagna, anche nel corso di quest’anno. La conosce bene, questo è certo». IL RISCHIO. «Si fa presto a parlare, dopo...», commenta Ubert Moroder. «Una guida prende decisioni, è il suo compito. Ma è difficile, per chi non viva ai piedi di “quella“ specifica montagna, valutarne ora per ora le condizioni». Che, nell’ultimo fine settimana, oscillavano tra il sole a fondovalle e temperature sotto lo zero in alta quota. I due della cordata ora affrontano la sfida decisiva in ospedale. Christian ha un appuntamento nel 2021: l’esame finale per divenire a tutti gli effetti guida alpina (l’aspirante può condurre clienti solo entro i confini, ndr) e vestire quel fregio «UIAGM» (Union Internationale des Associations de Guides de Montagnes) per cui si scelgono la preparazione, la disciplina, l’avventura e il rischio che le accompagna. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Paolo Mozzo

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