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ACCOGLIENZA CONCLUSA

Costagrande chiude
Ha ospitato
3.500 persone

Il centro sulle colline di Avesa chiude i battenti: gli ultimi nove ospiti sono andati via ieri. Nadia Gobbo: «Momenti difficili ma ricorderò un’impagabile esperienza di umanità». La lettera di Barry: «Esistono persone che ti fanno sentire bene perché ci sono. Grazie»
Il  cancello aperto della tenuta di Costagrande: da ieri l’esperienza con i migranti è conclusa
Il cancello aperto della tenuta di Costagrande: da ieri l’esperienza con i migranti è conclusa
Il  cancello aperto della tenuta di Costagrande: da ieri l’esperienza con i migranti è conclusa
Il cancello aperto della tenuta di Costagrande: da ieri l’esperienza con i migranti è conclusa

I cancelli di Costagrande, ieri mattina, si sono chiusi alle spalle degli ultimi nove ospiti, fatti salire su un pulmino e trasferiti in altre strutture. Abbandonato fra l’erba del prato c’è un vecchio pallone da calcio che nessuno userà più. Fine. Dopo quasi quattro anni, è terminata definitivamente l’attività di accoglienza dei richiedenti asilo nella tenuta sulla collina sopra Avesa, già in territorio di Grezzana.

In tutto questo tempo, Costagrande ha rappresentato la prima «casa» in Italia per circa 3.500 profughi, il punto di raccolta su suolo veronese dove i migranti approdavano in pullman, ancora avvolti nel telo giallo di plastica ricevuto dopo lo sbarco. Nell’ondata dell’emergenza, fra l’estate e l’autunno del 2016, la tenuta, un ex collegio universitario del Don Mazza, era arrivata a ospitare quasi cinquecento persone, perlopiù giovani africani tra i 18 e i 25 anni.

Adesso quelle stesse persone si trovano smistate altrove, in centri più piccoli sul territorio, a seconda delle peculiarità e del percorso di ciascuno. «Siamo stati quattro anni “al fronte”. Ma l’esperienza umana che abbiamo fatto a Costagrande è profonda e impagabile», commenta ora Nadia Gobbo della cooperativa sociale Tinlè che, insieme a Benedetta Lanza e a un’altra dozzina di operatori, oltre a una ventina di volontari di Avesa, Grezzana e dintorni, si è occupata dell’accoglienza nella tenuta, in particolare della mediazione socio-linguistico-culturale, nonché di facilitare chi usciva dal percorso di accoglienza, aiutandolo a trovare lavoro e alloggio. E ancora lei ricorda: «Nel periodo più frenetico, ogni giorno arrivavano 30-40 persone nuove; alcune ustionate, altre con la febbre alta, distrutte dal viaggio, altre ricoperte di stracci. Abbiamo riconosciuto anche segni di tortura. Ci sono stati momenti difficili, sì. Ma, grazie al supporto della Prefettura, le tensioni non sono mai degenerate. Anzi, tra noi e molti di quei ragazzi si è creata un’amicizia forte, e con alcuni ci teniamo in contatto, anche se magari non sono più all’interno dei percorsi d’accoglienza e si sono resi indipendenti, oppure sono andati all’estero...». Alla fine di questa “avventura” resta la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro di squadra, in cui un ruolo importantissimo è stato giocato dai medici: Paola Olivieri del presidio sanitario di Costagrande, Chiara Postiglione del Servizio di igiene e sanità pubblica dell’Ulss9, Geraldo Monteiro del reparto di Malattie tropicali di Negrar. Il 5 aprile, all’Opificio dei sensi, tutti i collaboratori di Costagrande si riuniranno per festeggiare e ricordare.

Nadia Gobbo e i suoi colleghi ora tengono strette fra le mani le lettere di addio dei ragazzi, vergate a mano in un italiano zoppicante, eppure comprensibilissimo nelle emozioni che vogliono trasmettere. Barry: «Ciao a tutti, cari amici della cooperativa Tinlè. Vi scrivo con la gioia, ma non perché vado via da Costagrande, ma per quello che mi avete fatto diventare. Oggi vi ringrazio tanto per la scuola, l’ospitalità, l’umanità. Voglio dirvi grazie», si legge ancora, «perché nella vita ti rendi conto che ci sono persone che ti sono vicine e non te lo aspettavi, persone che solo al pensiero che sono lì ti fanno sentire meglio». Un altro ragazzo: «Non so come spiegare quanto sono felice. Apprezzo molto per tutto, poiché mi dici che trasferirò. Ad essere onesto quel giorno è il giorno in cui comincio a perdere tutti e di nuovo mi manca tutto lo staff, la sicurezza, i ragazzi, le cucine, gli addetti alle pulizie, mi mancano tanto tutti. La vita che vivo a Costagrande è una cosa che non dimenticherò mai». Badmus: «Ricordo quando Dio mi ha aiutato a partire, quando affranto nel mio paese quella volta ho pensato che la mia vita sia finita. Nadia, io non so quanto tu possa essere grande per il tuo grande amore. Sono molto grato per il tuo impegno con me. Sai che controllare 500 persone di paesi diversi non è facile. Prego per te che Dio continui ad aiutare te e la tua famiglia e a benedire il tuo lavoro e dei tuoi collaboratori, amen». •

Lorenza Costantino

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