«Il nostro amico non c’entra nulla, è rinchiuso in carcere ingiustamente. Tua figlia si è sbagliata, non è stato lui a cercare di violentarla alla sagra. Deve ritrattare e scagionarlo perché il colpevole è un altro».
È racchiuso sostanzialmente in queste parole l’invito rivolto da tre marocchini al padre della diciottenne di Cologna, che tra il 12 e il 13 agosto scorsi, visse un incubo difficile da cancellare alla sagra di San Rocco dove prestava servizio come volontaria.
A loro dire, Soufiane Jarrah - il 23enne magrebino, nullafacente e senza fissa dimora, detenuto a Montorio da fine ottobre con le accuse di violenza sessuale e rapina aggravata proprio per quella vicenda che scosse profondamente l’Adige Guà - sarebbe stato confuso con un altro loro connazionale. Un giovane misterioso, di cui non hanno però rivelato l’identità, ma del quale, in compenso, hanno mostrato la foto sul cellulare.
Padre e figlia, dopo essersi ripresi dallo choc di quella visita inattesa, si sono precipitati subito nella stazione dell’Arma di via Stradone Sabbion. Ma non di certo per accelerare, a ridosso della prima udienza in tribunale il rilascio del 23enne, che venne arrestato a fine ottobre dagli uomini del luogotenente Fabrizio Di Donato in un casolare abbandonato. Bensì per manifestare tutta la loro preoccupazione per quell’incursione.