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Spunta la scatola del mandorlato utilizzata nel ’700

Il coperchio della scatola di mandorlato risalente al SettecentoAltre scatole d’epoca del dolce tipico colognese
Il coperchio della scatola di mandorlato risalente al SettecentoAltre scatole d’epoca del dolce tipico colognese
Il coperchio della scatola di mandorlato risalente al SettecentoAltre scatole d’epoca del dolce tipico colognese
Il coperchio della scatola di mandorlato risalente al SettecentoAltre scatole d’epoca del dolce tipico colognese

Cercando la storia delle reliquie delle Cappuccine, trova la scatola di mandorlato di Cologna più antica giunta fino a noi. Il documento inedito pubblicato sul numero 14 della rivista storica «Mainarda», uscita in questi giorni nelle edicole, è una vera chicca. È la riproduzione fotografica di una scatola di mandorlato tonda, in legno, risalente al Settecento. È stata inviata al presidente del centro studi «Giulio Cardo», Guerrino Maccagnan, dal docente universitario Gian Paolo Marchi. Cosa c’entri il mandorlato con le reliquie è presto detto. Le scatole di mandorlato, in passato come oggi, sono state sempre considerate oggetti utili. Una volta finito il dolce in esso contenute, le confezioni venivano, e vengono tuttora, usate per conservare le cose più disparate: dai rocchetti di filo ai bottoni, dalle cartoline ai pastelli colorati. Nel caso della scatola in questione, di proprietà della famiglia Ravagnani De’ Piacentini, il riutilizzo era piuttosto particolare. Il barattolo conteneva le dichiarazioni di alti prelati dell’epoca sull’autenticità delle reliquie custodite «nella Borssa che ho sopra il leto». I Ravagnani De’ Piacentini avevano ottenuto, o acquistato, delle reliquie che tenevano a protezione della famiglia sulla testata del letto matrimoniale. Nella scatola c’erano i documenti che attestavano l’originalità degli oggetti di devozione posseduti. Ma non è tanto su questo aspetto che ha indagato Maccagnan, quanto piuttosto sull’iscrizione riportata sul coperchio della scatola di mandorlato. Anche se la riproduzione è poco nitida, vi si legge una scritta molto interessante: «Fabbrica di Marciale Camuzzoni in Cologna». Per avere informazioni sull’identità di questo personaggio basta leggere le cronache di Antonio Calafà: «Camuzzoni Marciale di Bortolamio, da Torri nel Veronese, venne a Cologna nel 1753 in qualità di garzone nella Speciaria di Lorenzo Finco. Nel 1766 assunse la farmacia del defunto Giovanni Alvise Salvagnini». Sposò Catterina Anti ed ebbe due figli, Giovanni Pietro e Gregorio Stefano. Da che cosa si deduce che quella scatola in legno conteneva mandorlato? Dal fatto che il termine fabbrica non indicava la farmacia di Camuzzoni. «Le medicine di allora erano generalmente in polvere o liquide e venivano conservate in vasi di vetro o di ceramica, non certo in scatole di legno», osserva Maccagnan. «Inoltre», evidenzia, «il nome Camuzzoni figura fra i tre produttori colognesi di mandorlato durante la Repubblica Veneta». Ancora uno speziale coinvolto nella produzione dell’«oro bianco» di Cologna, dunque, come furono quasi un secolo dopo Italo Marani e Antonio Finco. Sebbene i produttori di mandorlato fossero più d’uno, Marani e Finco ebbero il merito di codificare e di lanciare su larga scala la ricetta del dolce che ha reso la cittadina sul Guà celebre in tutto il mondo. Nell’ultimo numero della Mainarda si trovano le foto delle scatole di mandorlato in latta dell’Ottocento e del Novecento. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Bosaro

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