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Multari condannati per ’ndrangheta

L’indagine dei Ros ha portato alla condanna di quattro persone
L’indagine dei Ros ha portato alla condanna di quattro persone
L’indagine dei Ros ha portato alla condanna di quattro persone
L’indagine dei Ros ha portato alla condanna di quattro persone

La sentenza di condanna a quattro componenti della famiglia Multari rappresenta una svolta storica nella lotta alle organizzazioni criminali nella nostra provincia. È la prima sentenza in Veneto che «certifica» l’attività di stampo ’ndranghetista sul territorio veronese di una famiglia, i Multari, legati al clan dei Grandi Aracri. È l’esito dell’operazione, chiamata «Terry», durata una decina d’anni, dei carabinieri del Ros, coordinata dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, Paola Tonini. Per il giudice veneziano David Calabria, Domenico Multari, 59 anni, i suoi fratelli Fortunato, 52 e Carmine, 56, e i figli Antonio, 25 e Alberto, 30, accusati di estorsione e resistenze a pubblico ufficiale e di associazione a delinquere di stampo mafioso, hanno agito con percosse, minacce, «avvalendosi della forza intimidatrice dell’associazione (’ndranghetista) dei Grande Aracri». In tre sono ancora in carcere dal blitz dei Ros che risale al 12 febbraio 2019 che comportò l’arresto di cinque persone. La sentenza è stata letta ieri a Venezia alla presenza dei difensori dei sei imputati e di Fortunato e Carmine Multari collegati via video dalle carceri di Tolmezzo e Bologna. Non si è chiuso, invece, il processo in primo grado per Carmine Multari in carcere a Milano. A differenza dei suoi parenti, non ha scelto il rito abbreviato, optando per quello ordinario. Per lui si apriranno le porte del tribunale di Vicenza a marzo. A parere del gup di Venezia, i Grandi Aracri, già finiti nel mirino degli investigatori della Dda di Bologna nell’indagine «Aemilia» con decine di condanne tra i quali anche alcuni veronesi, aveva dei sodali anche a Zimella. Per conoscere le ragioni di queste condanne, ridotte quasi della metà rispetto alle richieste della pm Tonini, bisognerà attendere tre mesi quando saranno depositate le motivazioni. Per gli investigatori dei Ros, l’anello di congiunzione tra i Multari a Zimella e i Grandi Aracri in Calabria era rappresentato dal figlio di Domenico Multari, Alberto che vive ancora a Cutro, in provincia di Crotone. In realtà, i guai giudiziari per Domenico Multari non si chiudono qui. Il cinquantanovenne ad inizio primavera sarà sottoposto a processo anche a Sassari. Si tratta di un’altra vicenda, stralciata rispetto al filone riguardante solo la Bassa Veronese, conclusosi ieri in primo grado, riguarda il tentato incendio di uno yacht acquistato da un veneziano. Chi aveva venduto l’imbarcazione, Francesco Crosera, veneziano e titolare di un cantiere nautico a Quarto d’Altino, arrestato nel blitz del 12 febbraio scorso, aveva chiuso un contratto milionario per la cessione dello yacht «Terry». L’acquirente, però, aveva scoperto dei gravi difetti sulla barca e aveva contestato la regolarità dell’acquisto, chiedendo 400.000 euro di risarcimento. Così, per impedire le necessarie perizie, il venditore avrebbe chiesto aiuto a Domenico Multari, prospettandogli di incendiare lo yacht. E Multari aveva organizzato l’incendio, «ingaggiando» altre due persone. Avevano appiccato fuoco una volta, nel 2015, distruggendolo solo parzialmente; ci avrebbero provato di nuovo, stavolta fermati dall’intervento dei carabinieri. E ora scatterà il processo in Sardegna. Sullo sfondo del processo conclusosi ieri, resta l’amarezza dell’assenza di parti civili. Il pm della Dda di Venezia aveva elencato 20 parti offese delle «imprese» di Multari. Solo una delle vittime, un imprenditore ridotto sul lastrico dai Multari, si è costituita parte civile. E ieri ha ottenuto un risarcimento di 330.000 euro. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giampaolo Chavan

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