<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La vicenda a Legnago

«Mia figlia danneggiata dalla donazione»: recapita in ospedale un pacco «per non dimenticare» e finisce in tribunale

La donna, accusata di minacce dalla responsabile del centro trasfusionale, è stata assolta dal giudice di pace
Il giudice di Legnago
Il giudice di Legnago
Il giudice di Legnago
Il giudice di Legnago

Aveva consegnato alla responsabile del Centro trasfusionale di Legnago una borsa contenente un tutore per avambraccio e mano con la scritta «Io non dimentico». Tutto ciò, per protestare contro le lesioni riportate dalla figlia al termine di una donazione di sangue a cui si era sottoposta all’ospedale «Mater salutis». Il giudice pace di Legnago, Franco Guidoni, ha tuttavia assolto R.M., 48enne di Casaleone, dall'accusa di minacce che gli era stata rivolta dalla dottoressa A.S., 55enne, destinataria della borsa dall'insolito contenuto. 

 

La ricostruzione della vicenda

Secondo quanto è emerso in aula, la scintilla che aveva scatenato la reazione furibonda della mamma casaleonese è stata innescata dalle conseguenze patite da sua figlia dopo una donazione di plasma a cui la giovane si era sottoposta il 26 settembre 2019 nel polo sanitario di via Gianella. Durante il prelievo, tuttavia, qualcosa doveva essere andato storto, visto che successivamente comparve sul braccio sinistro della ragazza un ematoma e la giovane, secondo quanto ha riferito la madre al giudice, perse totalmente la funzionalità dell'arto. In seguito la mamma della giovane si lamentò con il personale ospedaliero per quanto accaduto, adducendo la colpa dell'esito infausto della trasfusione all'operato di un'infermiera. Ciò che qualche tempo dopo mandò su tutte le furie la donna fu constatare come la stessa infermiera oggetto delle sue proteste continuasse a prestare servizio nell'ospedale legnaghese. Da qui la decisione della 48enne di recapitare lei stessa, nell’aprile del 2020, al personale ospedaliero una borsa indirizzata ad A.S., responsabile del Centro trasfusionale, in quel momento assente dal servizio.

 

Il «pacco» recapitato e la denuncia

 Quando la dottoressa rientrò in ufficio ed aprì il contenitore all'interno vi trovò un nastro di gommapiuma per assicurare il braccio al collo del paziente ed un tutore (sostegno, ndr) per avambraccio e mano sinistra su cui, a pennarello, erano riportate la data della trasfusione non andata a buon fine, il nome della figlia di R.M e le scritte «Grazie» e «Non dimentico». Alla vista dei dispositivi sanitari, con ogni probabilità utilizzati dalla figlia della donna trascinata davanti al giudice di pace per curare l'ematoma, la dottoressa rimase molto turbata, interpretando quel messaggio come una minaccia nei suoi confronti e della sua famiglia. Anche perché quello era solo l'ultimo di una serie di contatti, non del tutto cordiali, avuti tra la 48enne e la professionista.
Da qui la decisione di rivolgersi alla giustizia.

 

L'esito in tribunale

La dottoressa, in aula, ha precisato che il giorno della donazione effettuata dalla figlia dell'imputata lei non si era occupata del prelievo, seguito invece dal personale infermieristico. R.M., al contrario, ha spiegato al giudice di aver consegnato i presidi medici alla responsabile del Centro trasfusionale non con l'intento di minacciarla, bensì con l'obiettivo di ricordare alla dottoressa la promessa che, secondo la 48enne, la professionista le avrebbe fatto, ovvero di non far più lavorare con i pazienti l'infermiera ritenuta responsabile dalla donna delle lesioni. Il giudice di pace, quindi, ha deciso di respingere la richiesta di condanna dell'imputata e di risarcimento dei danni morali presentata dalla dottoressa, costituitasi parte civile tramite il proprio legale, assolvendo R.M. «perché il fatto non costituisce reato». 

Fabio Tomelleri

Suggerimenti