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«Infarto, il Covid dimezza i ricoveri»

Da  sinistra, il dottor Mugnolo, il dottor Zamboni e il dottor Tosi
Da sinistra, il dottor Mugnolo, il dottor Zamboni e il dottor Tosi
Da  sinistra, il dottor Mugnolo, il dottor Zamboni e il dottor Tosi
Da sinistra, il dottor Mugnolo, il dottor Zamboni e il dottor Tosi

«Quando avvertite i sintomi tipici dell’infarto, ossia un dolore toracico persistente e sempre più intenso, spesso associato a nausea, vomito e sudorazione, non esitate a chiamare il 118 e a sottoporvi subito ad elettrocardiogramma: ogni minuto che passa è prezioso per salvarvi la vita e scongiurare complicanze croniche con pesanti invalidità future». Quella lanciata dal dottor Alberto Zamboni, responsabile del servizio di Emodinamica in funzione nella Cardiologia dell’ospedale di Legnago - il reparto diretto da Giorgio Morando è uno dei 12 centri di riferimento Hub del Veneto per il trattamento in emergenza dell’infarto miocardico acuto - potrebbe apparire una raccomandazione pleonastica, del tutto ovvia. Tuttavia, quest’esortazione, condivisa anche dai colleghi Antonio Mugnolo e Paolo Tosi, si rende necessaria alla luce del preoccupante calo di accessi in codice rosso di pazienti infartuati registrati al «Mater salutis» negli ultimi tre mesi a causa del timore di entrare in ospedale in piena emergenza sanitaria da coronavirus. Con l’effetto, come è stato appurato, di sottoporsi alla diagnosi e alle cure del caso con ritardi tali da pregiudicare la piena funzionalità del cuore. Se non di andare incontro alla morte. «In questo periodo», conferma il dottor Zamboni, «in base ad una statistica elaborata nel nostro reparto abbiamo assistito ad una riduzione di oltre il 40 per cento dei ricoveri per infarto miocardico acuto. Inoltre, molti pazienti sono arrivati nel nostro laboratorio quando erano trascorse parecchie ore dall’insorgenza di sintomi che non vanno affatto trascurati». A rimarcare l’importanza della tempestività d’intervento è il collega Mugnolo: «Man mano che trascorre il tempo, l’interruzione del flusso sanguigno diretto al cuore può danneggiare se non causare la necrosi di una parte del muscolo cardiaco (miocardio). Da qui l’impellenza di ripristinarlo in tempi brevissimi per limitare i danni o addirittura evitarli». E quindi l’invito dei cardiologi legnaghesi a non indugiare, in presenza anche del minimo sospetto, a rivolgersi al reparto, dove ogni anno vengono eseguite 1.300 coronarografie e sono seguiti 150 pazienti colpiti da infarto. «La nostra attività», osserva il dottor Zamboni, «è proseguita 24 ore su 24 anche nella fase acuta della pandemia con tutti i protocolli di sicurezza in grado di evitare contagi. Oggi, a maggior ragione, non ci sono motivi per una resistenza ai ricoveri da parte di persone affette in particolare da cardiopatia ischemica». Questo permette, nel caso la diagnosi venisse confermata, di ridurre sensibilmente una mortalità che nel periodo del Covid è cresciuta a livello nazionale del 9 per cento. Ma, soprattutto, è possibile sottoporre l’infartuato a terapia farmacologica urgente e ad angioplastica, vale a dire la procedura in grado di riaprire l’arteria coronaria occlusa. Un trattamento che ogni anno al «Mater salutis» si rivela prezioso per 550 pazienti. Oltre alla velocità dei soccorsi, specie nei soggetti a rischio, è fondamentale la prevenzione. «A questo riguardo», annuncia Mugnolo, «stiamo mettendo a punto un progetto di telemedicina con i dottori di famiglia per capire in tempo se una persona ha i presupposti per sviluppare l’infarto». •

Stefano Nicoli

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