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«Gli anziani sono tutti spaventatissimi anche dagli infermieri in tuta bianca»

C’è chi aspetta invano una videochiamata per poter parlare anche solo qualche istante con il proprio caro, osservando ogni dettaglio per accertarsi che stia davvero bene. E chi, invece, quello squillo lo teme perché per molti, purtroppo, ha spento e continua a spegnere per sempre la speranza di rivedere vivo un genitore, uno zio, un nonno: uno di quei tanti volti segnati dallo scorrere del tempo che, fino ad un mese, fa si incrociavano sorridenti nel salone della struttura. «Eravamo come una grande famiglia», rivela Marina Lovato, che giovedì ha perso la madre Albertina, «io coordino il Centro diurno di Spinimbecco e li conosco tutti gli anziani. Purtroppo ora tanti, come mia madre, non ci sono più. Ricordo uno ad uno i loro sguardi sorridenti, le mani che stringevano le mie, le loro battute. Con altri familiari ci trovavamo tutti giorni alle 18 nella sala grande e li aiutavamo per la cena, dando una mano alle operatrici. Mai ci saremmo immaginati di vivere un dramma simile. Anche perché – prosegue la signora – quando è iniziata l’emergenza Coronavirus l’Ipab è stata immediatamente chiusa a tutti i parenti. Mia mamma l’ho potuta abbracciare per l’ultima volta un mese fa quando è stata ricoverata in ospedale per un problema di salute. Si era rimessa bene tanto che l’abbiamo riportata in casa di riposo». Il vero dramma dei familiari degli ospiti - in gran parte di Villa Bartolomea, ma provenienti anche da Comuni vicini - è iniziato lunedì quando sono arrivati i primi risultati dei tamponi eseguiti la mattina del 19 marzo. «Gli esiti erano in ritardo», riprende la donna, «e questo ha aggravato la nostra ansia. Quando abbiamo saputo che la maggior parte degli anziani era positiva al test ci è crollato il mondo addosso e in un attimo abbiamo perso le speranze. Da quel momento, nonostante gli sforzi delle operatrici, che sono state e continuano ad essere esemplari, non siamo più riusciti ad avere notizie. È perciò anche a loro che va il nostro pensiero. Hanno bisogno del nostro sostegno, ora più che mai. Per questo, qualche giorno fa ho voluto appendere alla ringhiera dell’ingresso dell’Ipab un grande cuore fatto di ramoscelli di ulivo incrociati accompagnato da un messaggio di incoraggiamento». Un segno di speranza che ieri si è tramutato in un atto concreto quando uno dei fratelli della signora Marina è riuscito a contattare alcune ditte che, hanno donato alla «Gasparini» diversi presidi di protezione: dalle mascherine ai guanti fino ai camici. «Cerchiamo l’uno il sostegno dell’altro», rivela tra la lacrime Simonetta Barian, che ha il padre ricoverato nell’ala Covid -19, aperta nei giorni scorsi nell’Ipab, «perché questo è l’unico modo che abbiamo per cercare di sopravvivere ad una tragedia così grande. Ho parlato un attimo con mio padre in videochiamata», rivela la signora, coordinatrice dei familiari degli ospiti, «ma era un po’ in confusione. Non oso immaginare come sia spaventato da tutto quello che sta accadendo. Le operatrici stanno facendo miracoli, ma gli anziani sono comunque soli. E molto angosciati perché non capiscono cosa sta accadendo intorno a loro». Anche il trasferimento ha rappresentato un trauma: «Quando li hanno trasferiti nei due reparti per gli infettati» rivela, « si sono visti arrivare in camera persone ricoperte da capo a piedi con tute protettive e tanti di loro si sono agitati. Ci sentiamo impotenti. E nulla, nonostante il supporto psicologico che ci ha messo a disposizione la struttura, sembra darci un po’ di sollievo». •

E.P.

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