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«Arsenale» di guerra scoperto in un casale

Il piccolo «arsenale» rinvenuto nel doppiofondo dell’armadioUna scatola di cartucce che faceva parte dell’«armeria» domestica
Il piccolo «arsenale» rinvenuto nel doppiofondo dell’armadioUna scatola di cartucce che faceva parte dell’«armeria» domestica
Il piccolo «arsenale» rinvenuto nel doppiofondo dell’armadioUna scatola di cartucce che faceva parte dell’«armeria» domestica
Il piccolo «arsenale» rinvenuto nel doppiofondo dell’armadioUna scatola di cartucce che faceva parte dell’«armeria» domestica

L’armadio, rinvenuto nella vecchia casa colonica di famiglia, malgrado fosse vuoto pesava come un forziere. E non c’era verso di spostarlo per dar corso ai lavori di ristrutturazione. Bella forza: il carico misterioso era occultato nel doppiofondo di quel mobile inspiegabilmente ingombrante. E la sorpresa ha superato ogni previsione visto che vi erano nascoste armi e munizioni risalenti alla Seconda guerra mondiale. Tra l’altro tutte perfettamente conservate e funzionanti. Quindi molto pericolose qualora fossero finite in mani sbagliate. È un’eredità a dir poco esplosiva quella ricevuta da una 67enne di Bonavigo, che non credeva ai propri occhi quando ha iniziato a sgomberare la casa di cui è diventata proprietaria alla morte del padre, classe 1911, per ricavare abitazioni destinate alle figlie. Un cantiere che, nelle campagne di via Santa Maria, a poca distanza dall’Adige, ha riservato «imprevisti» fin dall’inizio. Lo scorso luglio la signora si era infatti imbattuta in uno strano involucro impregnato di polvere pirica che sembrava una bomba. In realtà, ad un’analisi approfondita, si rivelò un fumogeno di fabbricazione inglese, fatto già brillare dagli artificieri. Poca cosa di fronte al singolare ritrovamento avvenuto lo scorso 28 agosto. La base dell’armadio, pesante all’inverosimile, era diventata una sorta di armeria domestica, rimasta segreta per decenni. Una «santabarbara» sconosciuta probabilmente anche al padre e agli altri familiari della 67enne, che non aveva mai sentito parlare in casa di quello strano deposito risalente ad oltre 70 anni fa e diventato materiale per collezionisti. Dal nascondiglio sono spuntati infatti un moschetto automatico italiano MAB 38 prodotto dalla Beretta a partire dal 1938: un mitra di cui fu primo acquirente il Ministero delle Colonie che ne ordinò all’azienda di Gardone Val Trompia 2mila esemplari per equipaggiare la Polizia dell’Africa italiana. I canovacci, che li hanno protetti finora dalla ruggine e dall’usura del tempo, hanno restituito poi una mitragliatrice MP40, fabbricata in massicce quantità dalla Germania nel Secondo conflitto mondiale, ed un mitra a canna corta Sten MK2 della stessa epoca ma progettato e distribuito dal Regno Unito. Oltre a caricatori già pieni e a scatole piene di cartucce ancora integre. Lo sconcerto non è finito lì. All’interno di un sacco di juta erano custoditi la bellezza di 1.869 colpi calibro 9. Di fronte a quel «tesoro» bellico, la 67enne si è rivolta senza alcuna esitazione ai carabinieri di Minerbe. I quali, dopo un sopralluogo, hanno provveduto a prelevare munizioni e armi, che sono ora custodite in caserma: le prime andranno distrutte mentre le seconde, una volta completate le pratiche del caso, saranno destinate probabilmente a qualche museo visto che la legge ne impedisce la demolizione così come la detenzione da parte dei privati. Resta ora da dipanare il «giallo» del piccolo arsenale venuto alla luce in via Santa Maria. A nascondere le armi potrebbe essere stato, all’insaputa dei proprietari, qualche soldato inglese nascosto all’epoca nel casale. Nei campi di lavoro sparsi nella Bassa, in particolare a Vangadizza ed Angiari, vennero infatti smistati, tra l’aprile e il settembre del 1943, decine di prigionieri britannici. I quali, dopo l’armistizio dell’8 settembre, vennero messi in salvo grazie all’appoggio di proprietari terrieri e contadini del luogo coinvolti da Alessandro Benetti, tenente di fanteria e comandante del distaccamento di prigionia di Corte Casselvega. Quest’ultimo riuscì in tre mesi a strappare alla morte 50 soldati, tra cui 20 militari britannici di fede ebraica, consentendo loro di raggiungere la Svizzera. Tanto da guadagnarsi l’appellativo di «Schindler della Bassa». •

Stefano Nicoli

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