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ASSOCIAZIONI

Uiv: «Marginalità ridotta Troppe scorte in cantina»

Paolo Castelletti segretario generale Unione italiana vini
Paolo Castelletti segretario generale Unione italiana vini
Paolo Castelletti segretario generale Unione italiana vini
Paolo Castelletti segretario generale Unione italiana vini

Le cantine italiane hanno ancora in pancia abbondanti scorte di vino. La situazione rispetto al 31 gennaio 2022 evidenzia un valore delle giacenze superiore al +5%, come certifica l’ispettorato centrale repressione frodi del ministero dell’Agricoltura e sovranità alimentare. «Emergono elementi di incertezza, in particolare sul segmento dei rossi da consumo quotidiano, che per alcuni territori costituiscono la principale produzione», segnala Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini, l’associazione che rappresenta oltre l’85% dell’export vitivinicolo italiano. Urge, quindi, un ripensamento.

Dottor Castelletti, partiamo dalla situazione produttiva e di mercato 2022, con previsioni sull’andamento di quest’anno.
Per l’anno scorso abbiamo stimato una vendemmia da 50,3 milioni di ettolitri di vino (da confermare attraverso le denunce di produzione e da parte comunitaria, ndr). È stata una raccolta ricca, ma il mercato ad oggi non è stato in grado di assorbirla, quindi le giacenze sono importanti. Abbiamo aree del Paese, specializzate nei rossi entry level, dove oggettivamente la situazione è critica. Si tratta di vini a denominazione ma non premium, che hanno grossa difficoltà di collocazione.
Tanto che qualche organizzazione di categoria sta pensando di chiedere al ministero l’apertura di una distillazione di crisi. Misura per cui sono però necessarie risorse: non può essere, infatti, finanziata dall’Ue come accadde nel 2020, ma dal ministero con fondi propri. A meno che non si vada in modifica alla normativa comunitaria (come successo in pandemia, ndr) e non si sposti la liquidità che sostiene promozione o ristrutturazione dei vigneti su questo intervento.

Il quadro è così pesante?
Siamo a marzo, la vendemmia è dopodomani, e il mercato nell’ultimo quarto del 2022 si è preso una pausa di riflessione. La richiesta è scesa e stiamo attendendo se questo trend sarà confermato nel primo trimestre 2023, su cui non abbiamo ancora dati. Gli elementi di criticità derivano dall’aumento dell’inflazione. Il potere di acquisto delle famiglie sia sul mercato italiano che sui tre principali sbocchi esteri - Stati Uniti, Germania e Regno Unito – si è fortemente ridimensionato. Prima si acquista il necessario, poi il vino. L’Italia esporta il 50% delle proprie produzioni. Il rallentamento sui principali sbocchi esteri è preoccupante.

Le cantine in un anno hanno perduto marginalità e si trovano con le botti piene. Cosa ci si può attendere?
Intanto occorre fare i dovuti «distinguo». I bianchi hanno tenuto e denominazioni come Valpolicella, Barolo, Brunello non sono nelle condizioni in cui versano i rossi di largo consumo. Anzi, quest’anno a valore la categoria premium dei fermi ha superato a valore l’entry level: 52% a 48%. Le denominazioni che hanno avuto la capacità e lungimiranza di raccontare un territorio, ben brandizzate e ben comunicate possono continuare a porsi sul mercato anche a prezzi elevati, con successo.

Le altre come possono reagire?
Il mondo del vino deve promuovere una riflessione rispetto alla propria impostazione produttiva, che tenga presente i cambi di gusto e incroci la richiesta delle nuove generazioni, che guardano a prodotti più facili, più zuccherini. Ad esempio, il Prosecco da anni ci ha abituato a performance incredibili, anche in Francia, in casa dei produttori di champagne. Perché più accessibile anche in contesti o per fasce d’età che non possiedono una cultura del vino tradizionale. Il ripensamento deve guardare anche alle esigenze dei consumatori «low alcol» e «no alcol», nonostante la resistenza di grande parte delle forze produttive. Il rischio è di perdere importanti quote di mercato. Occorre il coraggio di innovare, di guardare a sbocchi aggiuntivi: chi acquista low o no alcol non andrà mai a bere Amarone, Valpolicella Classico o Soave. Il consumatore con interesse al prodotto più leggero, lo comprerà da altri se non riusciremo a darglielo noi, rinunciando a diventare fornitori dei Paesi Islamici o dell’India.

Come si può spingere in questa direzione?
La riflessione non dovrebbe essere mai imposta dall’alto. Tuttavia è urgente: il cambiamento climatico porterà a produrre vini sempre più alcolici. Mentre la corsa verso produzioni sostenibili, molto apprezzate dal consumatore, ci induce ad affrontare altri cambiamenti e a puntare sui vitigni resistenti.•.

Valeria Zanetti