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DENOMINAZIONI

Il Vicentino fa le bollicine: il Prosecco traina il Durello

Alberto Marchisio presidente di Assoenologi Veneto Occ. e dg di Vitevis
Alberto Marchisio presidente di Assoenologi Veneto Occ. e dg di Vitevis
Alberto Marchisio presidente di Assoenologi Veneto Occ. e dg di Vitevis
Alberto Marchisio presidente di Assoenologi Veneto Occ. e dg di Vitevis

Una buona annata, il 2022, per la viticoltura vicentina, con l’Horeca che ha sopperito alla flessione della grande distribuzione e che anche in questo inizio d’anno tiene sorprendentemente bene. Ora le denominazioni vicentine sono attese a un 2023 ancora difficile da interpretare, ma dalle buone speranze. Con Alberto Marchisio, direttore generale Cantine Vitevis e presidente Assoenologi Veneto Occidentale, facciamo il punto sulla situazione del settore vitivinicolo in terra berica.

Presidente, che bilancio si può fare, a bocce ferme, dell’anno trascorso?
Il 2022 è stata un’annata enologica molto interessante, anche nel Vicentino. Il caldo ha portato delle problematiche, ma grazie alle piogge di agosto gli agricoltori sono riusciti a salvare la stagione, la vendemmia è stata soddisfacente sia per qualità che per quantità. Abbiamo dei vini rossi molto interessanti, i bianchi sono nella norma, ma comunque una buona norma. Nelle ultime annate le stagioni ci hanno sempre aiutato, l’uva sana permette di lavorare bene.

Consuntivo positivo anche sotto il profilo delle vendite?
Fino a Natale il mercato è stato molto buono, anche al di là delle aspettative. Si pensava che ci sarebbe stata una frenata già in ottobre, ma non è andata così. Forse si sono spostati un po’ i volumi, questo sì: la grande distribuzione è risultata un po’ in diminuzione, ma il settore Horeca ha sopperito bene. Nel complesso il mercato è stato buono.

Se l’Horeca ha sopperito alla carenza della GDO, significa che si è invertito l’effetto del biennio del Covid, quando tra lockdown e limitazioni i problemi li aveva la ristorazione e correva invece la spesa alimentare?
Sì, la gente ha voglia di uscire, di consumare. Ma lo vediamo anche dal fatto che nei ristoranti se non si prenota non si trova posto nel fine settimana. Adesso comunque è troppo presto per capire come andrà il 2023: gennaio e febbraio sono i due mesi più calmi dell’anno per il nostro mondo, quindi non si possono dare giudizi. Quello che si può dire ora è che continua a soffrire un po’ la grande distribuzione e che l’Horeca non ha ancora perso slancio: pur avendo alle spalle come detto i due mesi meno dinamici, sta ancora funzionando.

Vi aspettavate che l’Horeca rallentasse in quest’inizio d’anno?
Sì, gennaio e febbraio per il settore di solito sono mesi tranquilli, ma vediamo che la ristorazione sta ancora lavorando bene. E’ un segnale interessante. Si potrebbe anche iniziare a pensare che sia in atto un cambio di abitudine della gente: si consuma meno durante la settimana, ma non si è disposti a privarsi del sabato e della domenica.

Come legge questa tendenza? E’ sempre una conseguenza del lungo straniamento forzato dettato dalla pandemia?
Direi di sì. Però è una tendenza che in giro per il mondo è ornai un’abitudine: uscire nel fine settimana è una cosa che noi italiani negli ultimi anni avevamo un po’ dimenticato, adesso invece la gente ha voglia di tornare alle relazioni e alla convivialità. Sembra diventare una tendenza strutturale. Pur tenendo presente che le tendenze oggi vivono cicli di durata molto meno lunga rispetto al passato.

Come se la stanno passando le denominazioni vicentine?
Il Prosecco nel Vicentino è sempre molto tonico, ormai il mercato ha capito che la bollicina la si può usare in tutte le salse. Questo traina anche il consumo del Durello: vedo sempre più curiosità su questa denominazione, i numeri non sono grandissimi, però si sta consolidando sia nei produttori che nella denominazione. Il Pinot grigio è stabile, ancora non riesce a fare quello scatto per dare qualche soddisfazione in più: è sempre richiesto, ma non sboccia ancora appieno, ci auguriamo che lo faccia, lavoriamo tutti per quello. Le altre denominazioni, parlo dei Colli Berici e del Gambellara, rimangono nicchie interessanti, ma dobbiamo fare ancora tanto lavoro da fare per comunicare questi territori.

Tra tutti qual è il vino che se la passa meglio in terra berica?
Sicuramente il Prosecco. Va detto peraltro che, in generale, spesso su Vicenza si potrebbe fare di più, anche i consumatori potrebbero chiedere che siano proposte di più le etichette vicentine. A volte invece si tende a essere troppo “esterofili”, a guardare lontano invece che vicino casa. Anche noi produttori dobbiamo sempre di più lavorare per far capire la qualità che c’è sul nostro territorio. Bisogna crederci.

Da questa edizione del Vinitaly cosa vi aspettate?
Di ritrovare la normalità. I clienti stranieri sembrano interessati a tornare, i segnali sono buoni. Il Vinitaly ormai è diventata una vetrina più di rappresentanza che di business, una buona occasione per fare il punto della situazione, poter presentare i prodotti e avere relazioni è sempre importante. Vedremo come risponderà l’Italia, siamo in prossimità della Pasqua e quindi i ristoratori sono impegnati anche su altri fronti.

Nella vitivinicoltura si parla sempre più spesso di sostenibilità. Come evolve questo concetto nel territorio?
Oggi siamo sempre più attenti a questi temi, consapevoli che l’ambiente è fondamentale per il nostro lavoro. Abbiamo tradizione, i territori vitati in maniera coerente fanno parte di un patrimonio anche estetico delle nostre zone, che a volte tendiamo a dimenticare.
Un grido d’allarme andrebbe lanciato perché si cerchi tutti insieme di aiutare anche quella parte agricola collinare che oggi non ha possibilità di irrigare: con questi climi, se non si irriga non si fa reddito, e se non si fa reddito si estirpa, con il rischio che i territori perdano la loro bellezza. E non bisogna dimenticare che in certe zone si farebbe fatica a trovare alternative alla coltivazione della vite.

Ma questo allarme a chi è rivolto, in primis?
Alla politica. Serve pensare una buona programmazione. Non vorrei che alcune aree produttive siano costrette ad alzare bandiera bianca. Sarebbe un peccato. Anche perché dove non si può piantare vigna non c’è alternativa per altre colture, consumerebbero tutte più acqua: se non ce n’è abbastanza disponibilità d’acqua per la vigna, che è in grado di sopportare alte temperature e basse piovosità, non ce n’è sicuramente per altre coltivazioni.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Stefano Tomasoni