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ADMOR/LA STORIA

Fran e il suo
sogno spezzato

ADMOR/LA STORIA
Alessndra Tacconi
Alessndra Tacconi
Alessndra Tacconi
Alessndra Tacconi

«Tutto è cominciato con quella che sembrava un’influenza. Ma poi la febbre si presentava troppo spesso e a lungo. È bastato un esame e la terribile verità è venuta fuori: leucemia mieloide acuta». Alessandra Tacconi, 28 anni, rivive il dramma che le ha portato via il fratello Francesco, stroncato nel 2013, a soli 25 anni, da una malattia che non gli ha lasciato scampo. Da allora è diventata una volontaria di Admor, organizzando iniziative per sensibilizzare i giovani al dono di cellule staminali emopoietiche. Francesco era un appassionato giocatore di pallavolo, atleta della Volley Palazzolo. In sua memoria, da cinque anni, la sua famiglia organizza a Palazzolo di Sona il Fran Volley, un torneo amatoriale per raccogliere fondi per Admor e quindi per la ricerca. Quest’anno vi hanno partecipato 30 squadre con 180 giocatori.

 

«Quando gli venne diagnosticata la malattia, nel maggio del 2012, si presentava molto aggressiva», racconta Alessandra. «Iniziò subito un ciclo di chemioterapia con lunghe degenze periodiche in ospedale, a Borgo Roma. Quando si scoprì che ero compatibile con lui, sembrava un miracolo. Di solito i consanguinei non sono le persone più idonee al dono di cellule staminali, ma nel mio caso la compatibilità c’era. Mi sottoposi a tutti gli accertamenti per il dono del sangue periferico da cui estrarre le cellule staminali. Non è una prassi dolorosa ma solo un po’ lunga. Nulla, pensavo, se fosse servito a salvargli la vita. Nel frattempo lui aveva fatto altri cicli di chemioterapia e radioterapia.

 

Francesco ha tirato fuori un grande coraggio. Devo dire che è anche stato molto sostenuto dai medici, l’ematologo Achille Ambrosetti, il dottor Emanuele Guardalben, quasi suo coetaneo, e il dottor Fabio Benedetti, responsabile del Centro Trapianti di Borgo Roma. Anche gli infermieri sono stati sempre straordinari». A dicembre del 2012 il giovane viene dimesso e torna a casa per le feste di Natale. La speranza di una ripresa è tanta. Nei mesi successivi a Borgo Roma va solo per il Day hospital. Le sue condizioni restano precarie, ma «Fran» è deciso a combattere quel nemico subdolo che gli sta minando l’esistenza. Purtroppo dopo alcuni mesi il fisico non regge più. E il 7 novembre del 2013 «Fran» vola via. «Questa esperienza mi ha cambiato la vita», confessa Alessandra.

 

«Io e la mia famiglia siamo stati catapultati in una realtà che non conoscevamo, fatta di molto dolore ma anche di tantissima solidarietà e umanità. Per questo sostengo l’Admor, per combattere la battaglia di Francesco. Questo ci dà la forza di andare avanti». Ma per una vicenda amara come quella di Francesco Tacconi ce ne sono altre finite diversamente, come quella di Loretta Pizzini, 60 anni, di Bussolengo. Lei è una sopravvissuta alla leucemia e oggi, per «restituire il bene ricevuto da medici e volontari», e diventata sostenitrice di Admor. La sua vita era già sta pesantemente segnata dalla malattia. Nel 1974 la leucemia le aveva portato via il padre.

 

«Aveva solo 44 anni ed è morto 11 mesi dopo la diagnosi», racconta Loretta. «All’epoca avevo 16 anni e due sorelle di nove e 14 anni. La mamma aveva 42 anni. Ci siamo rimboccate le maniche e gestito l’azienda di famiglia, una fabbrica di cucine e arredamenti. E abbiamo continuato a studiare». Nel giugno del 1997 Loretta, che intanto si è sposata e ha una bambina di 12 anni, avverte una forte stanchezza e scopre di avere le gambe piene di ecchimosi. Va in ospedale per accertamenti e subito scatta il ricovero. «Avevo il sistema immunitario azzerato», racconta, «e mi hanno trasferito in Ematologia a Borgo Roma dove mi diagnosticano la leucemia mieloide acuta. Per me si è riaperto un libro tristissimo, che mi ha fatto ripercorrere tutto il dolore vissuto per mio padre e le preoccupazioni di lasciare mia figlia orfana in tenera età».

 

Loretta inizia subito un ciclo di chemioterapia, seguito da una lunga degenza in ospedale. «Sei mesi», precisa, «e i medici mi dicevano che si trattava di una forma aggressiva e che mi dovevano portare al trapianto. Così, “forse“, mi sarei salvata. Mi sentivo come un prigioniero in attesa di giudizio, di una sentenza di vita o di morte. Terribile». L’esito stavolta è benevolo. Trovato il donatore compatibile, Loretta si sottopone al trapianto e il 26 novembre del 1997 torna a casa, in remissione. «È stata dura anche dopo, perchè stavo spesso male, ma ne sono uscita. E appena sono stata meglio mi sono messa in pista con Admor».

Admor è una delle cinque associazioni veronesi che beneficiano del progetto di solidarietà di Athesis VVB

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ELENA CARDINALI

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