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IL PARROCO. Don Francesco Murari illustra le numerose attività legate alla catechesi e al coinvolgimento delle famiglie

«Camminiamo
insieme al Noi»

La facciata della chiesa di San Martino
La facciata della chiesa di San Martino
La facciata della chiesa di San Martino
La facciata della chiesa di San Martino

Don Francesco Murari è nato a Negrar nel 1960; è stato ordinato sacerdote il 25 maggio 1988 ed ha iniziato il suo ministero sacerdotale come curato a Bussolengo nella parrocchia di Santa Maria Maggiore. Dopo sette anni è stato trasferito a Valeggio, dove si è fermato per altri quattro anni. In seguito, dal 2000 al 2008 ha guidato come parroco la comunità di Cherubine. Da 11 anni regge la parrocchia di Bure. Come vede il paese nelle sue componenti civili, economiche e umane? «Bure fa parte del polo della Valpolicella. Il territorio si è urbanizzato a partire dagli anni ’70. Prima era in prevalenza agricolo; negli ultimi decenni c’è stato un aumento della popolazione anche grazie a persone che, dalla città, cercavano un alloggio un po’ decentrato. Quindi parecchi abitanti sono anche professionisti di un certo livello sia culturale che imprenditoriale. Attualmente il settore che va per la maggiore è quello vitivinicolo con il fiorire di vigneti, forse anche troppi, che rischia di trasformarsi in monocultura, mentre anni fa il paesaggio era più variegato: c’erano coltivazioni di ciliegie, pesche, grano, granoturco. Adesso trionfa il vigneto con annesse belle cantine. Umanamente parlando il paese è ancora vivibile e non si riscontrano gravi problemi dal punto di vista sociale; è anche abbastanza legato alle tradizioni. Si conserva ancora un “vecchio paese” nel quale è bello viverci». Anche a Bure, tuttavia, pur con questo quadro culturale, è arrivata la secolarizzazione cioè la perdita di rilevanza della religione nella vita sociale. «Anche noi non possiamo cullarci sugli allori perché la secolarizzazione si è infiltrata ormai dappertutto. Però questo non ci autorizza a scoraggiarci. «Stiamo facendo un buon lavoro soprattutto per quel che riguarda la gioventù, dai primi anni del catechismo all’adolescenza e al gruppo giovani. E su questo stiamo investendo molte risorse e vediamo che la risposta è più che positiva». La partecipazione alla messa? «A me pare che sia sul 40%. Dipende un po’ anche dai periodi: quando ci sono i lavori nei campi o nella stagione dello svago per le famiglie la frequenza è destinata a calare. Però vedo che normalmente è molto positiva. «Cerchiamo di offrire stimoli, provocando anche le famiglie, attraverso il catechismo, ad essere più presenti. Anche coloro che non frequentano, però, non sono ostili al nostro mondo. Oggi c’è un modo di vivere nel quale, se non si sta attenti, la religione è relegata a quel tanto che basta per ricevere i sacramenti, ma poi non incide molto nella vita». L'annuncio della parola, che è la missione della chiesa, si concretizza nella catechesi. Come è strutturata a Bure? «Abbiamo fatto parecchie esperienze. Adesso la catechesi parte dai bambini di prima elementare e arriva fino alla terza media. Sono un bel gruppo di 180 bambini e ragazzi. Poi ci sono le proposte per il gruppo adolescenti, che si ritrova settimanalmente; abbiamo anche iniziato un’attività per il gruppo giovani. Queste sono le nostre proposte certe. Per gli adulti abbiamo tentato di fare catechesi mensili, soprattutto in Avvento e Quaresima; abbiamo anche invitato persone per tenere conferenze su temi che riguardano la Bibbia, la vita della Chiesa o l’attualità. Inoltre raggiungiamo le famiglie e i genitori attraverso incontri in preparazione al ricevimento dei sacramenti da parte dei loro figli». Il catechismo? «C’è quasi tutti i giorni perché non abbiamo tanti ambienti e le classi sono costrette a turnare durante la settimana. Devo dire che tutti questi ragazzi non sono solo di Bure: cerchiamo, in accordo con i parroci delle altre parrocchie, di offrire più possibilità di partecipazione andando incontro alle esigenze di orario dei ragazzi sempre molto impegnati in attività sportive extrascolastiche». Esistono in parrocchia gruppi che vivacizzano la vita ecclesiale? «Abbiamo la Caritas che mensilmente prepara delle torte e usa il ricavato delle vendite per i bisognosi. Raccoglie anche vestiario e alimenti. È una realtà molto sentita. C’è una buona sensibilità missionaria: alcune persone hanno avuto esperienze in missione, soprattutto in Africa e hanno riportato il desiderio di continuare questa collaborazione con le chiese africane. Quindi durante l’anno ci sono proposte informative su quanto si sta facendo. Si tratta di persone che ogni anno tornano in Africa per vedere l’andamento dei lavori». Le proposte estive alla comunità? «La prima, collaudata da tanto tempo, è il Grest. Quest’anno durerà tre settimane. Seguono poi i campi scuola estivi che organizziamo a Spiazzi, sul monte Baldo nella accogliente casa Cabrini-Bresciani di proprietà del Comune di Cerea. Il Grest raccoglie i bambini dalla prima elementare alla terza media, dalle 8 alle 12.30; i ragazzi sono seguiti dagli animatori. Ogni anno si sceglie un tema che fa da sfondo a tutte le attività di gioco, laboratori, didattica, uscite. È organizzato molto bene e apprezzato dalle famiglie. Il tutto si conclude con la festa nella quale si presenta uno spettacolino preparato da ragazzi e animatori. I campi scuola sono aperti alle classi quarta e quinta delle elementari e alle prime due classi delle medie, durante la prima settimana; la seconda settimana raccoglie i ragazzi della terza media fino alla terza superiore». Cosa significa la presenza del Circolo Noi in una parrocchia come quella di Bure? «È un’associazione benedetta, nel senso che per la parrocchia è uno strumento di aggregazione e di socializzazione non dico indispensabile ma importante. Da lì nascono proposte che esulano dall’ambito religioso e sono un’offerta di grande importanza per le famiglie e per il paese. Parrocchia e Circolo si appoggiano a vicenda: due gambe che camminano insieme». • G.B.M.

G.B.M.

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