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INTERVISTA NARRATIVA ITALIANA

Roberto Cotroneo. Stiamo pensando alla letteratura dei prossimi anni

Roberto Cotroneo narrativa italiana
Roberto Cotroneo narrativa italiana
Roberto Cotroneo narrativa italiana
Roberto Cotroneo narrativa italiana

«Pubblicare libri di scrittori italiani significa considerare quattro aspetti fondamentali: il primo esaminare gli agenti letterari e quello che ci inviano per poi decidere se ci interessa oppure no. Secondo, valutare gli autori che ci spediscono direttamente i loro manoscritti, magari perché non hanno un agente o sono alla loro prima opera. Terzo, cercare scrittori più affermati e portarli nella nostra casa editrice e, infine, pensare ai romanzi dei nostri autori che abbiamo già pubblicato, al loro stile e capire se si possono cimentare in un programma editoriale che, in un particolare momento, possa rispondere alle tendenze e alle esigenze dei lettori. In sostanza avere un storia solida e realizzarla». Roberto Cotroneo, scrittore, giornalista ed editor della narrativa italiana per Neri Pozza del gruppo editoriale Athesis va subito al punto, non gira attorno alle parole, ai preamboli e offre un lettura veritiera, immediata su quanto accade all’interno della casa editrice vicentina.

Superati i quattro aspetti che cosa accade?

I libri non vengono mai pubblicati come arrivano a volte si fanno riscrivere, dipende dal grado di esperienza o dall’affermazione dell’autore. Ogni manoscritto ha punti deboli e punti di forza, in alcune parti può essere tagliato in altre allungato. Diciamo che deve essere messo a registro. Spesso lo fanno gli autori, ma se il risultato non è soddisfacente interviene l’editor.

La narrativa italiana per la Neri Pozza come dev’essere?

Diciamo che noi è fondamentalmente intercettare un’ idea di letteratura che si può sviluppare negli anni. Crediamo che non esista solamente un genere, c’è contaminazione di scritture diverse, altre. A volte può essere un po’ lirica, altre tipicamente narrativa, altre ancora si può incontrare con la saggista e infine un po’ memoir.

Sta parlando di “Due Vite” di Emanuele Trevi con il quale avete vinto il Premio Strega davanti a colossi editoriali e che, di fatto, riassume tutti e quattro questi generi?

Certo, la strada è quella del saggio che si somma al romanzo, al trattato filosofico, riprendendo altri libri. Trevi ha vinto malgrado un mantra ostinato che faceva ripetere ai critici e ai lettori: non è un romanzo. In effetti non era nemmeno un saggio oppure solo un libro di memorie sull’amicizia.

E quindi?

Abbiamo un’idea forte della letteratura poco generalista e commerciale. Vanno cambiati i registri bisogna imparare a sperimentare e a questo ci crediamo tantissimo. Si possono avere autori che sfornano libri e che fanno vendere le case editrici magari con errori e difetti nei testi. E’ come se possedessimo uno Stradivari rimasto inutizzato che vale milioni di euro, ma se prima di iniziare un concerto non lo accordiamo potrà essere il migliore strumento al mondo, ma sarà scordato e suonerà male. Questo per dire che scrivere comporta cura e attenzione che si conquistano con fatica e lavoro.

Vincere lo Strega che cosa vi ha portato?

Oltre ad una grande soddisfazione, era la prima volta che accadeva ed eravamo in svantaggio rispetto ad altri gruppi editoriali. Per noi è un pezzo di storia importante perchè lo abbiamo vinto con un libro poco tradizionale e molto complesso.

C.R.

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