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INTERVISTAAUTRICE DI “SETTE OPERE DI MISERICORDIA”

Piera Ventre. Vermicino, il Paese perse l'innocenza

Piera Ventre
Piera Ventre
Piera Ventre
Piera Ventre

•Ha pubblicato con Neri Pozza Palazzokimbo (2016) e Sette opere di misericordia (2020), che ha vinto la trentatreesima edizione del Premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, definito “un romanzo vero e intenso, che indaga la Napoli post-terremoto in un Paese costretto a misurarsi con la perdita dell’innocenza”. Piera Ventre, classe 1967, vive a Livorno dal 1987. Laureata in logopedia all’università di Pisa, è specializzata come assistente alla comunicazione e collabora con diverse scuole della sua città. E racconta il suo rapporto con Napoli e la scrittura, e il grande amore che la lega ai bambini e agli animali.

Piera Ventre, lei è una scrittrice napoletana trapiantata in Toscana, la sua famiglia è in Piemonte e la sua casa editrice è in Veneto. Questo le permette di vivere intensamente, e in prima persona, una relazione con luoghi dell’Italia molto diversi tra loro.

Oggi sento di non appartenere a nessun posto, e credo anche che la Napoli che ho vissuto io ormai non esista più, perché le città cambiano. Sono e mi sento napolide, come diceva Erri De Luca. In ogni caso credo fortemente nelle radici e nelle origini, e mantengo un legame molto forte con Napoli, dove ho vissuto i primi venti anni della mia vita, quelli della formazione. Lì sono diventata ciò che sono oggi, ma nonostante questo riesco a conservare anche uno sguardo molto distaccato che salva da facili sentimentalismi.

Nel suo libro Sette opere di misericordia si torna a rivivere la tragica storia di Alfredino Rampi, il bambino che nel 1981 cadde nel pozzo a Vermicino e perse la vita dopo innumerevoli tentativi di salvataggio. Un fatto di cronaca che 40 anni fa fa scosse l’Italia intera. Come lo ha vissuto lei?

Intorno a quell’evento fu messa in atto un’azione di rimozione sociale, come avviene per i traumi collettivi. Io ho deciso di scriverne perché la morte di Alfredino mi ha segnato, era una sorta di ombra sotto la pelle che mi portavo appresso e sentivo la necessità di farla riemergere. Vermicino è stata per me la prima esperienza diretta con la morte e la sua ineluttabilità. E non l’ho vissuta così soltanto io ma anche conoscenti e amici. Non mi sarei mai permessa di speculare su questa tragedia, ecco perché ho creato una distanza tra la trama del libro e la vicenda di Vermicino, che si trasforma quindi in un espediente: mentre in televisione vanno in onda le immagini della tragedia, nel romanzo è in corso una dissoluzione famigliare, con una città in sofferenza sullo sfondo.

La scrittura è stata per lei un atto liberatorio?

Non credo nel valore terapeutico della scrittura, e sono convinta che non sappia salvare e non faccia neppure diventare migliori. Di certo scrivere è un fattore di equilibrio determinante nella mia vita. Credo che Vermicino resti una ferita della nostra vita, e scriverne mi ha permesso di venire a patti col dolore. Per molto tempo ha avuto a che fare col fantasma di questo bambino.

Come vive il rapporto con la sua casa editrice?

Quello con Neri Pozza è un rapporto all’insegna della libertà assoluta di espressione, qualità davvero insolita e rara. Neri Pozza non ammicca al pubblico più ampio con letture di intrattenimento, e si muove nel rispetto della sensibilità e delle tematiche affrontate dagli autori senza preoccuparsi della religiosità del testo, che non viene mai rimaneggiato in base a criteri predefiniti. Credo sia un enorme pregio scegliere di non essere commerciali a tutti costi, lasciando spazio anche ad alcuni argomenti conturbanti. Ho un bel rapporto col direttore e la squadra della casa editrice e trovo una meravigliosa opportunità il Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, apripista della scuola spagnola, dove le case editrici fanno un lavoro coraggioso di scouting e valorizzazione delle nuove voci.

Nella sua scrittura ci sono spesso espressioni dialettali, capaci di portare il lettore negli ambienti che fanno da cornice alla trama.

Era inevitabile, per me, utilizzare certi termini, e la loro presenza ha consentito, durante la correzione delle bozze, un lavoro filologico interessante e a tratti molto divertente che ha contribuito a rendere ancora più forte il mio legame con la casa editrice.

Sette opere di misericordia è un romanzo corale, ma emergono soprattutto tante figure di bambini e di animali, tratteggiati con estrema delicatezza.

I bambini e gli animali sono la parte più bella del mondo, conservano la grazia dell’innocenza e sono gli unici esseri in grado di salvarci.

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