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IL PERSONAGGIO Nato nel 1912, ebbe Vicenza come orizzonte pur spaziando tra i fermenti creativi dei nuovi poeti e scrittori italiani e della narrativa americana

Neri, un uomo del Rinascimento

1949, Neri Pozza mentre modella un vaso nel suo studio. Un’attività appresa dal padre scultore Recoaro, 1930. Neri, primo da sinistra, con i genitori e il pittore De MariaCortina 1966 Neri Pozza con la moglie Lea Quaretti e Dino Buzzati con sullo sfondo la moglie Almerina
1949, Neri Pozza mentre modella un vaso nel suo studio. Un’attività appresa dal padre scultore Recoaro, 1930. Neri, primo da sinistra, con i genitori e il pittore De MariaCortina 1966 Neri Pozza con la moglie Lea Quaretti e Dino Buzzati con sullo sfondo la moglie Almerina
1949, Neri Pozza mentre modella un vaso nel suo studio. Un’attività appresa dal padre scultore Recoaro, 1930. Neri, primo da sinistra, con i genitori e il pittore De MariaCortina 1966 Neri Pozza con la moglie Lea Quaretti e Dino Buzzati con sullo sfondo la moglie Almerina
1949, Neri Pozza mentre modella un vaso nel suo studio. Un’attività appresa dal padre scultore Recoaro, 1930. Neri, primo da sinistra, con i genitori e il pittore De MariaCortina 1966 Neri Pozza con la moglie Lea Quaretti e Dino Buzzati con sullo sfondo la moglie Almerina

“Neri Pozza rappresenta un’epoca, uno stile, un modo di camminare nel mondo che oggi si è perso. Stiamo attraversando un periodo nel quale le cose in cui Neri credeva suonano atone e fioche”. Così il poeta Fernando Bandini ricordava una decina d’anni fa l’amico di una vita, nato il 5 agosto 1912 nel cuore antico di una Vicenza ancora attraversata dai traini a cavallo e dal basso continuo delle sue botteghe artigiane.

Il personaggio Uomo di stampo rinascimentale, Neri Pozza scolpiva, incideva, dipingeva, collezionava, pubblicava libri, scriveva romanzi, saggi, poesie. C’era in lui un’effervescenza rara, una capacità di lavoro pazzesca, un amore per l’arte che non gli dava tregua. Diceva che bastava sfogliare “L’ultimo della classe”, il racconto autobiografico che nel 1986 lo aveva portato a un passo dalla vittoria al premio letterario Campiello, per comprendere l’origine della sua indole multiforme e irrequieta. Curioso, impulsivo, pieno d’iniziative, il giovane Neri si era cimentato in ogni sorta di attività: era stato apprendista nel negozio di “Mobili d’arte” del cavalier Maccà, garzone nel laboratorio di legna “Tre soci”, allievo in una scuola di disegno, operaio in un negozio di bomboniere. Un andirivieni incessante e orgoglioso che spiegava in questo modo: “Ogni volta che il prezzo da pagare diventava troppo alto, me ne andavo sbattendo la porta”.

Scultore Davanti a lui c’è Ugo, il padre scultore, che tornato dalla Grande Guerra con dentro gli occhi immagini di orrore e di morte, non vuol sentir parlare di sopraffazioni e violenze. Non si piegherà al fascismo e per questo perderà commesse e bottega. La passione di Neri per la scultura nasce da qui. Le opere in terracotta modellate tra il 1933 e il 1950 testimoniano una produzione importante e intensissima, destinata a rallentare solo quando il suo interesse si sposterà verso l’editoria.

Editore Tutto accade nel 1938. Pozza ha 26 anni, e per sopperire alla defaillance di un piccolo editore ebreo, l’avvocato Ermes Jacchia, costretto alla fuga dalle leggi razziali, inventa con alcuni compagni di ventura le Edizioni dell’Asino Volante, che gli consentono di stampare la raccolta di poesie “ La gaia gioventù” dell’amico Antonio Barolini. Scopre così una vocazione che nel 1946, a Venezia, ufficializzerà con l’istituzione di una casa editrice che ancora oggi porta il suo nome.

Talent scout Fin da subito si muove all’interno del mondo culturale italiano con sguardo ampio, sicuro, finemente critico, senza mai perdere di vista quel progetto d’arte e poesia – come ebbe modo di ricordare in una fiera missiva indirizzata al pupillo ribelle Goffredo Parise – magari poco remunerativo in termini economici, ma il solo in grado di sedurlo e interessarlo. Pubblica Montale, Buzzati, Luzi, Sbarbaro, Gadda, Onofri, Spaziani, Parise, Cardarelli, Bontempelli, Sinisgalli e tanti altri autori straordinari. Fonda una collana di letteratura americana destinata a rimanere un unicum nella storia della nostra editoria. Un’editoria di proposta e di rischio che lo porterà a valorizzare il meglio della letteratura italiana del dopoguerra, per poi dedicarsi a quell’editoria protetta, pensata in collaborazione con alcune prestigiose istituzioni del territorio, che gli permetterà di realizzare progetti di vasto respiro, come la storia della cultura veneta e i quattro volumi dei disegni palladiani.

L’incisione Un lavoro che lo assorbe per gran parte della giornata, ma che non gli impedisce di coltivare la sua grande passione per l’incisione, che da quando ha allentato l’impegno con la scultura è diventata la principale espressione del suo talento artistico. Più di cento le vedute dedicate a Vicenza, la sua città per la vita. Opere che guardano verso il ponte delle Barche, la Basilica, la cupola di Santo Stefano, i campanili del duomo, le case, i tetti, le strade, le piazze, i giardini. I fogli del suo diario 1963-1971 (rimasti inediti per quasi cinquant’anni e stampati recentemente da Ronzani) ci raccontano una devozione per Vicenza che non ammette compromessi e ripensamenti. Pozza osserva con un pizzico d’ironia i tanti amici, incluso l’amatissimo Antonio Barolini, che si affannano senza posa da un capo all’altro del mondo. “Io ho viaggiato molto nella mia città” scrive lapidario il 6 maggio 1963. “Dopo averla conosciuta nelle sue strade, coi lazzaroni e gli angeli della mia giovinezza, mi sono fermato più tardi, migliaia di volte, a gustare una veduta di case e alberi, uno spazio aperto tra le quinte del fogliame, una piazzola, un fiume, un vicolo”. Ed è esattamente Vicenza che ritrae nelle sue incisioni, non i vicentini, che saranno invece gli assoluti protagonisti dei racconti e romanzi autobiografici.

I romanzi Una vena narrativa che Pozza incomincia a coltivare con una certa regolarità a partire dal 1963 (è anche l’anno in cui sposa con rito religioso la scrittrice Lea Quaretti). Dapprima qualche nota, poi qualcosa di più denso e strutturato. Una sorta di esercizio propedeutico al grande volo che lo vedrà autore nel 1970 di quel sorprendente “Processo per eresia” nel quale confluiscono le sue poliedriche attitudini di artista e letterato. Nel ‘72 sarà la volta de “La putina greca”; nel ’76 la splendida biografia dedicata a “Tiziano”; nel ’77 “Le storie veneziane”. Ormai è un fiume in piena. Il filone autobiografico, iniziato nel 1975 con “Comedia familiare”, prosegue con “Una città per la vita”, ”Il pidocchio di ferro”, “L’ultimo della classe”, “Gli anni ideali”, “L’educazione cattolica”. Nessuna alzata di tono, nessun affondo veemente in queste pagine fresche, veloci, stemperate da uno sguardo misurato e affettuoso, che sembra animato da un’unica urgenza: la fedeltà alle persone e alle cose.

L’impegno pubblico Un universo culturale e umano profondamente radicato in quella Vicenza tanto amata e odiata, che si stava trasformando in una sorta di paradigma “del grigiore che contraddistingueva l’informe proliferazione di tante periferie urbane lontane anni luce dall’insegnamento consegnatoci dalle grandi epoche del passato”. Il suo impegno come consigliere comunale e provinciale nelle file del partito repubblicano, muove dalla necessità di contribuire in prima persona alla maturazione di una coscienza civile capace di rispettare e preservare quel disegno urbano frutto della sapienza di chi ci ha preceduto. Nei primi anni del dopoguerra aveva sperato in una rinascita, ma niente era cambiato. Ed eccolo annotare nel suo diario la cocente delusione per quanto gli stava accadendo intorno: “Posso dirvi in un orecchio perché, dalle mie stampe, un certo giorno sono scomparsi gli alberi. Sono scomparsi perché li avete distrutti; perché avete tagliato le belle piante secolari che rallegravano e profumavano i giardini dentro le vecchie mura: a Valmerlara, a mure Pallamaio, sulla collina di Monte Berico; e avete lasciato morire gli ippocastani di Ponte Furo. E state distruggendo il giardino Querini. E tante altre distruzioni non solo di piante avete compiuto. L’immagine che lascio di Vicenza, attraverso le mie stampe, non è che l’immagine di una solitudine totale. Non si vedono che pietre bianche, grigie e nere”.

La casa Lavorò senza mai allontanarsi dalla sua bella casa sul fiume (fino alla scomparsa il 6 novembre 1988), perché solo quella gli sembrava la giusta prospettiva “per un’onesta, sincera testimonianza”. Ed è proprio su questo orizzonte lampeggiante e profetico che le sue idee d’arte e poesia assumono i contorni di un indicatore di rotta in grado di registrare l’integrità di un progetto estetico e civile ancora oggi saldamente conficcato nel cuore della cultura e dell’editoria italiana.

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Maurizia Veladiano

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