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IL TESTIMONIAL. Il giornalista e scrittore appoggia il progetto e racconta il «dietro le quinte» del suo legame con la città

Severgnini e Verona, un grande amore

Beppe Severgnini durante uno spettacolo al Teatro Filarmonico
Beppe Severgnini durante uno spettacolo al Teatro Filarmonico
Beppe Severgnini durante uno spettacolo al Teatro Filarmonico
Beppe Severgnini durante uno spettacolo al Teatro Filarmonico

Un legame con Verona mai prima confessato. Ma l’occasione, evidentemente, valeva la rivelazione. E così ieri il giornalista e scrittore Beppe Severgnini ha raccontato quanto «deve» alla nostra città. «Sono davvero contento di dare una mano a questo progetto, e non lo dico per circostanza. A Verona mi legano molti ricordi, la conosco bene, dal liceo Maffei al teatro Nuovo, è una città che sento vicina. Ma soprattutto è una città che ha segnato una svolta nella mia vita. Con Verona infatti ho un debito professionale che credo di non avere mai raccontato: questo è il momento. Era guarda caso il 2001, proprio 20 anni fa, e io ero stato invitato da una azienda veronese, la Volkswagen, per un incontro a livello mondiale che, per l’Italia, quell’anno si teneva proprio nella città scaligera. Dovevo spiegare l’Italia agli stranieri, e mi ricordo che creai stupore e ottenni apprezzamento perchè ogni volta che mi veniva chiesto questo racconto cercavo di spiegare cosa significa essere italiani in modo diverso». Ma non è solo il successo ottenuto a fare la differenza. Spiega infatti Severgnini: «Proprio da lì, da quelle riflessioni sull’“italianità“, nacquero prima un programma televisivo e quindi un libro e quindi arrivò “La testa degli italiani“, il libro che, tradotto in quattordici lingue, ha spiegato agli stranieri il nostro carattere nazionale ed è diventato un best seller in America. Così è davvero cambiata la mia vita». Ma che cosa significa allora essere italiani? Severgnini cita il suo ultimo lavoro, «Neoitaliani. Un manifesto» (Rizzoli) nel quale spiega che «i neoitaliani siamo tutti noi, che abbiamo attraversato la primavera del 2020 e ora affrontiamo un futuro incerto. Ci vorrà tempo per capire come la pandemia, lo spavento e le difficoltà abbiano cambiato il nostro carattere. Ma un cambiamento è avvenuto. Dalla bufera siamo usciti diversi. Peggiori o migliori? Direi: non siamo andati indietro. A modo nostro, siamo andati avanti. Siamo stati costretti a trovare dentro di noi risorse che non sapevamo di possedere». E se il senso dell’essere italiani in questo ultimo scritto si riassume in 50 punti, ieri Severgnini ne ha citato i cinque fondamentali: «Quando tutti si aspettano che ci agitiamo, noi restiamo calmi, vedi la scorsa primavera quando per primi abbiamo affrontato l’emergenza Covid. Secondo: siamo fragili quando pensiamo di essere forti e viceversa. E ancora: sappiamo essere seri ma lo ammettiamo malvolentieri; siamo imprevedibili, quando non inaffidabili (e se la seconda è cosa sbagliata, la prima resta una qualità dell’intelligenza) e infine siamo capaci di bei gesti e sui buoni comportamenti ci stiamo lavorando. Perchè buoni comportamenti significa una successione di bei gesti nel tempo, altrimenti si tratta di gusto per la teatralità». 

A.G.

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