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«Qui vendevo bibite. Sostenere l’Arena è un dovere di tutti»

L’Arena ha imparato a conoscerla quando, da ragazzo, vendeva bibite e gelati sulle scalinate dell’anfiteatro, durante la stagione lirica. Poi ha iniziato ad amarne ogni dettaglio, influenzato da studi, formazione e lavoro: e così oggi, ogni sera, uscendo dallo studio di architettura Quoin srl engineering, che ha fondato nel 2003, Franco Scaramuzza passa da piazza Bra e si «riempie gli occhi di bellezza». Anche per questo ha deciso di supportare il progetto 67 Colonne per l’Arena di Verona, insieme ai suoi soci.

Quali motivazioni l’hanno spinta?

Quando mi è stata proposta l’iniziativa non ho avuto esitazioni, l’ho subito condivisa con i soci, l’ingegnere Marino Gavasso e gli architetti Nicoletta dal Zotto e Maddalena Barbi, che hanno confermato con entusiasmo la partecipazione. Sicuramente ci hanno spinti ad aderire l’amore per la nostra città, il senso di responsabilità ma anche l’orgoglio di poter contribuire in maniera concreta. L’Arena è un volano economico per moltissime attività e supportare l’attività della Fondazione Arena significa essere vicini a tutta la città di Verona. Viviamo in un territorio in cui il senso di comunità è molto forte, prova ne è la diffusa attività di volontariato. È bello vedere che, quando serve, la mobilitazione dei privati e delle imprese è forte e spontanea ed è un onore far parte di questa comunità.

Oggi ritiene che il ruolo di un'impresa sia anche quello di affiancare lo Stato e impegnarsi per la tutela di queste bellezze?

Mi sento di dare per scontato che ci sia piena consapevolezza che l’arte e la cultura non solo alimentano lo spirito e la mente ma sono fonte di sviluppo e progresso economico. Viviamo in una delle più importanti città d’arte del mondo e di conseguenza l’industria del turismo ha un ruolo di rilievo e se vogliamo che continui a prosperare dobbiamo impegnarci non solo nella tutela, ma anche nella valorizzazione del patrimonio artistico che abbiamo ereditato. L’investimento per la tutela di questo patrimonio è per tutti, pubblico e privato, la migliore spesa che si possa fare. Quoin si occupa di architettura e ingegneria: i nostri clienti sono delle grandi aziende multinazionali che hanno ben chiaro come l’architettura delle proprie sedi e delle reti di vendita li rappresenti, e debba quindi trasmettere i valori della stessa impresa e dei suoi prodotti. Ci viene facile quindi comprendere quanto importante sia il ruolo delle imprese nel promuovere, diffondere e lasciare alla comunità testimonianza di ogni tipo di arte.

Il meccanismo dell’Art bonus è stato creato proprio con l'obiettivo di incentivare questo coinvolgimento dei privati. Lo trova efficace?

È uno strumento che proviene dal mondo anglosassone dove ha avuto effetti estremamente positivi. L’Art bonus rende interessante ai privati sostenere iniziative o attività artistiche e trovo che sia positivo non solo per l’aspetto economico, ma anche perché è un mezzo per avvicinare le imprese alla cultura e allo spettacolo.

Vivere a Verona, con la ricchezza di patrimonio artistico e culturale che la caratterizza, ispira il suo lavoro?

Ho la fortuna di abitare a pochi passi da piazza Bra e la passeggiata che cerco di concedermi alla sera al rientro dallo studio mi riempie gli occhi di bellezza. Anche se spesso seguo lo stesso percorso, ogni volta colgo dei particolari che mi emozionano. Da architetto non posso che portare sempre nel mio bagaglio culturale i riferimenti di una plurimillenaria stratigrafia architettonica che, in maniera direi unica, solo a Verona è possibile leggere.

Quali sono i suoi legami con questo territorio e con l’Arena?

Pur essendo nato in una provincia limitrofa, Vicenza, la mia famiglia di origine si è trasferita a Verona quando avevo poco più di un anno e da qui non mi sono più spostato. Il lavoro mi porta costantemente fuori Verona, dovendomi occupare di progetti in tutta Italia e a volte anche in altri Paesi europei. I miei primi ricordi dell’Arena risalgono a quando le auto percorrevano tutta piazza Bra e si parcheggiava lungo il Liston: il monumento era annerito dallo smog. Da ragazzo ho imparato per esperienza personale che l’Arena è un volano economico. Infatti anche io sono stato uno dei tanti ragazzi che durante la pausa scolastica estiva portava le cassette dei gelati e bibite su e giù dalle gradinate. E ricordo benissimo il fascino di alcune opere, in particolare dell’Aida. È stata una scuola di vita che mi hanno insegnato il valore del lavoro.

Crede che l’immagine di questa provincia andrebbe comunque migliorata o, almeno, potenziata, al di fuori dai confini nazionali?

Il territorio veronese viene spesso promosso all’estero sotto il cappello di «The Land of Venice» e va bene perché l’attrattiva di Venezia è insuperabile. La Nazione Veronese, come veniva definita ai tempi della Serenissima, ha però una sua luce propria ed è una luce forte. Inutile citare tutte le bellezze che troviamo nel nostro territorio. Vorrei solo ricordare la Lessinia, la sua bellezza e quanto potenziale non valorizzato per un turismo ecosostenibile: qui ci sarebbe ancora molto da fare. Comunque, nei miei frequenti contatti con l’estero, quando mi chiedono da dove provengo, raramente mi sento rispondere “non ci sono mai stato” e praticamente mai con la domanda “dov’è Verona?”.

Ha deciso di supportare il progetto 67 Colonne per l’Arena in un anno comunque molto difficile per tutti, sia aziende che persone. Come sono stati per voi questi mesi?

Penso che come tutti, ci siamo trovati di fronte ad una situazione, oltre che drammatica, nuova ed imprevedibile. Siamo riusciti però in pochissimi giorni a rivoluzionare i nostri sistemi tecnologici per mettere i collaboratori in condizione di lavorare da casa: oggi questa accelerazione sull’innovazione ci lascia un’eredità che aumenta la nostra competitività. Tutto questo è stato possibile grazie al valore dei nostri collaboratori e al sostegno che i nostri clienti ci hanno sempre garantito e in questa, occasione, vorrei ringraziarli tutti.

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