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«La nostra Arena è patrimonio di tutti. E il mondo ci invidia»

L’Arena è un patrimonio immenso. E non appartiene solo a Verona ma al mondo intero. Ne è convinto Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola, e che proprio nel mondo è conosciuto come Mister Amarone, l’imprenditore che ha contribuito al successo del vino simbolo della Valpolicella. Questa apertura oltre i confini veronesi, al di là anche di quelli nazionali, Boscaini la auspica anche per l’Arena: patrimonio di tutti, da tutti deve essere sostenuta. E la decisione di rispondere all’appello e supportare il progetto «67 Colonne» nasce proprio da questa «ferma volontà di tramandare il nostro passato, la nostra cultura che è un’enorme ricchezza: se non lo facciamo, il nostro futuro resterà povero e non riconoscibile».

Il supporto al progetto “67 colonne” rinsalda ulteriormente il già forte legame di Masi Agricola con il territorio. Quali motivazioni vi hanno spinto ad aderire?

Ci siamo sentiti coinvolti sia come impresa che come famiglia che da generazioni affonda le radici nella Valpolicella. Per quanto mi riguarda sono tre i motivi principali che mi hanno spinto a rispondere con entusiasmo a questo appello. Il primo è familiare: ci sentiamo veronesi e veneti, orgogliosi della nostra città, del suo passato e del ruolo che sarà chiamata a interpretare nel mondo oggi e in futuro. Siamo anche uomini d’impresa, e allora è facile capire come il territorio e le sue eccellenze vadano valorizzate e promosse: i nostri prodotti, in particolare, vivono e prosperano in questo contesto. Infine c’è una questione morale: sentiamo il dovere di restituire il tanto che abbiamo ricevuto, dalle favorevoli condizioni ambientali nel quale ci troviamo, dalla cultura, ricca di stimoli e di potenzialità, immersa in una storia antica, ma dinamica come poche altre aree, caratterizzata dalla capacità di essere non frenetica ma di vedere con il giusto distacco la modernità, sicura di una radice antica.

Restituire alla terra almeno una parte di quanto ricevuto. Questa volontà assume diverse declinazioni nella vostra azienda. La prima è l’attenzione alla sostenibilità, e non solamente ambientale.

Il concetto di sostenibilità è ampio e va applicato al modo di vivere e di esprimersi: alla socialità, all’economia, all’ecologia. Non può esistere un progresso se non sostenibile: io sono la sesta generazione dell’azienda, il nostro rapporto con i vigneti è forte di 250 anni ed è un legame che affonda le basi nel rispetto della terra, in relazioni sociali consolidate, in una economia sana. Sono queste le condizioni indispensabili che ha un’azienda per poter vivere bene.

E come lo mettete in pratica questo concetto di sostenibilità?

Abbiamo sempre curato l’aspetto ambientale, tanto più oggi che possiamo contare anche sul supporto scientifico per le pratiche naturali. Sappiamo che dobbiamo intervenire perché non sempre la natura è favorevole, ma lo facciamo con tutto il rispetto dovuto e non con superficialità. Dal punto di vista sociale abbiamo rapporti stabili con fornitori, viticoltori, clienti e collaboratori: questi ultimi li teniamo nel nostro database anche quando vanno in pensione e continuano a seguire l’azienda in tutti gli eventi. Vuol dire molto nel mantenimento di una comunità, perché di fatto un’azienda è anche questo. Con clienti di tutto il mondo abbiamo rapporti decennali, alcuni importatori sono con noi da quarant’anni: trattano il marchio Masi con l’amore che si dedica a qualcosa di proprio. Questi aspetti, nel loro insieme, portano un’azienda a essere longeva, creando un ambiente nel quale i valori sono condivisi. Dal punto di vista della sostenibilità economica, per noi i progetti non sono mai mordi e fuggi ma di crescita e di prospettive. Sentiamo la responsabilità verso la nostra famiglia, verso gli altri investitori e verso tutto l’indotto.

Anche la Fondazione Masi è nata dal desiderio della famiglia Boscaini di esprimere la riconoscenza verso la propria terra: la principale missione è valorizzare e portare nel mondo le eccellenze delle Venezie. Qual è la vostra «ricetta» per migliorare l’immagine di Verona all’estero?

Il Premio Masi ha quarant’anni e la prima caratteristica che, attraverso questa iniziativa, cerchiamo di veicolare è l’apertura al mondo e al diverso, tipico della Serenissima. Verona non è una città chiusa e noi cerchiamo di far capire che questa impressione, purtroppo diffusa, è sbagliata. Il Premio è nato proprio da questa consapevolezza, direi da un moto d’orgoglio: negli anni Settanta l’immagine del vino veronese era degradata e io mi sentivo umiliato. Avevo studiato tanto, giravo il mondo e mi sentivo dire che producevamo vini di basso scaffale. L’iniziativa è nata allora come un momento di reazione, di orgoglio.

Tornando al progetto “67 Colonne”: questa iniziativa è nato con l’obiettivo di coinvolgere privati e imprese nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale e artistico simbolo della nostra città. Crede che questo impegno faccia parte anche dei compiti di un imprenditore?

L’Arena è unica, un patrimonio immenso che non è solo di Verona ma del mondo. Allora è giusto che a questo appello rispondiamo in primis noi, ma non mi stupirei, anzi ne sarei lieto, se vi fossero anche bresciani, mantovani, trentini. Perché l’Arena è un patrimonio enorme e diffuso e non possiamo permettere che muoia di provincialismo. Ricordo quanto accadeva a Londra negli anni Settanta, quando arrivavano arabi ad acquistare immobili: portavano denaro ma non portavano via i palazzi. Questa stessa lungimiranza serve oggi a noi.

Ci sono ricordi particolari che la legano all’Arena?

Ricordo bene un viaggio di quarant’anni fa, in Spagna con degli amici. Incontrammo persone di diverse nazionalità e li conquistammo invitandoli in Arena. Da allora non mancano mai un Festival lirico, tutti gli anni vengono ad assistere all’Opera, consapevoli che né a Parigi né a Madrid si può trovare un’atmosfera simile, dove le note raggiungono il cielo stellato e stelle baciano gli spettatori. Un ambiente unico che conquista, caratterizzato da bellezza e da umanità diverse.

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