I PROTAGONISTI

«L'Arena è un simbolo. Patrimonio del città da tutelare e sostenere»

Impresa e cultura. L’edizione 2021 del «Nabucco» sul palcoscenico dell’Arena FOTO ENNEVI

C’è una foto che ama spesso guardare Daniele Salvagno: è immortalata la passata generazione dell’azienda che oggi lui guida insieme ai tre fratelli, Lorenzo, Valeria e Paola. C’è il papà Mario accanto a tutti coloro che, nel secolo scorso, avevano tracciato il percorso che avrebbe negli anni fatto grande il Frantoio Redoro di Grezzana: «Questa immagine rappresenta una colonna portante della nostra azienda», racconta Salvagno, che oggi ha preso il timone della Redoro, diventando anche un punto di riferimento dell’agroalimentare veneto tanto da essere stato eletto presidente della Coldiretti regionale. Ecco, quando ha saputo del progetto «67 Colonne» dell’Arena, la reazione è stata immediata: «Ho pensato subito al nesso con la nostra tradizione di famiglia, a quella generazione che ha superato anche la Guerra e che ci ha consegnato un insieme di valori che riguardano anche l’attaccamento e il rispetto della terra e del territorio, e che noi oggi abbiamo il dovere di portare avanti».

Cosa rappresenta per lei l’Arena?
È il simbolo della città, ancor più che Romeo e Giulietta: questa è una bella iniziativa e per noi è un dovere investire sul territorio e, in questo caso, su un patrimonio di Verona che ha molto sofferto in quest’ultimo anno e mezzo a causa della pandemia. Lo avremmo fatto anche se non ci fosse stato l’Art bonus. E poi ci sono ricordi che ho ancora chiari nella mente, e che mi riportano a quando ero bambino.

Ce li racconti...
Mio papà era un appassionato di opera. Amava il «Va Pensiero», il coro del Nabucco, tanto da averlo voluto come suoneria per il telefono dell’azienda: chi chiama la Redoro viene accolto da questa melodia. E da allora non è mai stata tolta. Portava spesso me e i miei fratelli in Arena e noi eravamo così piccoli che quella scenografia spettacolare ci appariva ancora più grande di quanto già era. Mio papà amava raccontarci la storia di questo monumento, di ogni arco, le scuderie, i passaggi dai quali transitavano i cavalli: tanti angoli, alcuni oggi non sono più accessibili. Da lì partivano i cunicoli che si diramavano tutto il centro, li attraversavamo insieme e arrivavamo nella cantina del ristorante del suo grande amico Giorgio Gioco. Avevo 6 anni, il ricordo è ancora nitido.

Quel patrimonio che appartiene a tutti i veronesi è parte integrante dell’immagine di Verona all’estero. Il progetto «67 Colonne» è stato promosso con l’obiettivo di sostenerlo, in un anno che è stato complesso per tutti i settori, particolare quello della cultura. Come giudica questo «abbraccio» di privati e imprese intorno al simbolo della città?
L’idea è molto buona, considerando l’emergenza che ha colpito il nostro territorio, l’Italia e il mondo intero. Sono dell’idea che il coinvolgimento dei privati sia giusto ma solo nelle situazioni di calamità: se Pompei va sott’acqua è corretto che le imprese di quel territorio facciano la sua parte, se l’Arena che fa da traino al turismo e all’economia di Verona è in difficoltà a causa della pandemia, è giusto che i privati diano il loro contributo. Ma sono dell’idea che la tutela del patrimonio artistico e culturale, nella quotidianità, sia di competenza del Ministero. Ognuno è giusto che viaggi sulle proprie gambe.

Come lei ha detto, l’Arena è uno dei simboli della città nel mondo. In che modo questo nostro patrimonio potrebbe essere impiegato per valorizzare ancora di più il territorio?
Io la riempirei idealmente di frutta, verdura e di prodotti tipici di Verona e della sua provincia. Quando c’è un concerto, ad esempio, alla fine si sbaracca tutto e sul territorio resta poco o nulla: invece dal mio punto di vista ogni evento ospitato in Arena dovrebbe garantire valore aggiunto a tutto il territorio e, guardando al mio settore, al singolo produttore. Mi piacerebbe fosse una vetrina per tutte le nostre eccellenze, per il vino, l’olio, il riso, le specialità di ogni area della provincia, dalla Lessinia alla Bassa, dalla Valpolicella fino all’Est veronese.

Ha qualche idea?
Sarebbe bello che, finché il turista attende l’inizio dell’opera, di un concerto rock o pop, oppure di uno spettacolo, avesse l’occasione di conoscere i prodotti dei nostri artigiani, degustare prodotti e magari poi decidere di acquistarli per portarseli a casa, dall’altra parte del mondo. In fondo la pandemia di Covid ci ha insegnato anche questo: l’importanza di fare rete, sistema, di collaborare tra di noi perché anche il più piccolo dei produttori può fare la differenza.

Adesso voi siete presenti in tutto il mondo, il vostro olio è riconoscibile non solo per la qualità ma anche per la confezione, con il piccolo e originale manico che caratterizza le vostre bottiglie. E da sempre siete molto impegnati per tutelare il territorio e la sua comunità. Con quali iniziative?
Il «progetto 67 colonne» sicuramente è, oggi, il più simbolico tra le iniziative che supportiamo. Ma non ci fermiamo qui, ce ne sono parecchie altre. Mi piace ricordare anche quelle finalizzate a preservare le aree agricole di tutta la provincia, a tutelare il territorio, dalle colline ai sentieri della Lessinia: fa parte della nostra cultura, è una sensibilità che ci ha sempre caratterizzato. E poi siamo da sempre attenti alla sostenibilità: abbiamo mappato tutti i nostri oliveti calcolando che l’anidride carbonica che assorbono è maggiore rispetto a quella che produce l’azienda. Grazie al nostro sistema fotovoltaico siamo in grado di autoprodurci l’energia che consumiamo nel frantoio e sfruttiamo anche la biomassa derivante dal nocciolino delle nostre olive per produrre calore. E così possiamo anche riscaldarci.•.

Suggerimenti