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Forno Bonomi

Fratelli casa e bottega tra gusto e arte «Tortafrolla, esperienza nuova nell'inebriante atmosfera dell'Opera»

di Francesca Saglimbeni

Il modo ideale per gustare uno dei loro dolci simbolo, la Tortafrolla di Verona, è spezzare quest'ultima con le mani, per ricavarne tanti pezzi di forme diverse da condividere con i propri cari. Che in fondo è un po' quanto, edizione dopo edizione, stanno sperimentando i sostenitori delle «67 Colonne per l'Arena», i quali contribuendo alla lunga vita del festival lirico, ciascuno secondo le proprie risorse, si riscoprono custodi di "pezzi" di storia da condividere. Sarà stata anche questa associazione di idee ad aver convinto i fratelli Fausto e Renato Bonomi, rispettivamente presidente e amministratore delegato del Forno Bonomi, a diventare partner del progetto promosso da Fondazione Arena e Gruppo Athesis, che ne hanno battezzato l'ingresso in occasione del recente centenario dell'Arena Opera Festival. Ma ancor prima, dichiarano Fausto e Renato, che oggi conducono l'azienda dolciaria di Roverè Veronese insieme al fratello Dario e alla terza generazione di famiglia, «la storicità e unicità dell'Arena, il cui valore economico-culturale va difeso da tutti noi (imprenditori e professionisti) in quanto parte integrante della storia stessa del territorio». Per altro, grazie a tale partnership «abbiamo ideato e sviluppato un nuovo packaging per il prodotto simbolo della tradizione veronese, la Tortafrolla, che quest'anno interamente dedicato al centenario del festival lirico. E l'occasione è stata proficua anche per invitare i nostri clienti storici a vivere un'esperienza del tutto nuova nell'inebriante atmosfera dell'opera».

L'azienda nasce nel cuore della Lessinia. Segno del forte legame con il territorio. Altro punto in comune con l'Arena.
Un legame che a sua volta ci ha permesso di esportare la «nostra montagna» nel mondo, con la sua genuinità di ingredienti e di persone. Tant'è che il 65% del fatturato di Forno Bonomi è generato proprio nei mercati di sbocco internazionale, che sono oltre un centinaio.Rimanere sul territorio, e nello specifico in montagna, nonostante le valide opportunità di investimento in pianura, manifestatesi in passato, è stata infatti una scelta etica, sociale e insieme economica, fortemente voluta almeno quanto il voler diventare sponsor dell'anfiteatro areniano. E ancora, una scelta di identità e bontà, che continua a trovare espressione nell'offerta stessa degli ingredienti, sani e genuini, alla base dei nostri prodotti.

Questa connessione territoriale, tipica dell'agroalimentare, vale secondo voi anche per l' impresa della cultura?
Certo. La valorizzazione della cultura e arte del territorio è imprescindibile anche per gli operatori di questo settore, a maggior ragione nel caso dell'Arena, che essendo conosciuta in tutto il mondo resta il nostro miglior "biglietto da visita". Sono proprio arte e cultura che hanno reso la nostra città così attrattiva per il turismo internazionale, anche nei periodi difficili. Crediamo, dunque, che sostenere tali realtà sia altresì un meccanismo necessario per proiettarci nel futuro.

Quella di Forno Bonomi è la storia di un piccolo panificio di provincia, che negli anni ha saputo trasformarsi in una realtà moderna, rimanendo tuttavia sempre a contatto con le tradizioni. Ma è anche - come dite spesso voi - una "storia di famiglia".
Sì, tutto inizia nel 1850 a Velo Veronese, nel cuore della Lessinia, l'altopiano alle spalle di Verona, dove aprì il primo Forno della Famiglia Bonomi. Si producevano il pane e qualche dolce, tutto con acqua di montagna e materie prime semplici, coltivate nell'aria pulita della zona.Nel secondo dopoguerra, poi, la storia del successo imprenditoriale della nostra famiglia riprende grazie a papà Umberto e mamma Corinna, che decidono di rilevare dallo zio il negozio nel centro del paese. Sotto il forno, sopra l'appartamento, dove sono nati tutti i fratelli Bonomi. "Casa e bottega" come nella più classica tradizione italiana, insomma. I genitori lavorano sodo e i figli guardano, osservano, imparano. Finché negli anni Sessanta, sempre con il sostegno dei primi, i secondi decidono di dare una svolta all'attività, trasferendola a Roverè e convertendola in un'industria. Nello stabilimento, nel frattempo ingrandito fino a 40mila mq, oggi sono impiegati più di 170 collaboratori e tutti insieme lavoriamo come una grande famiglia.

Un vostro ricordo di famiglia legato all'Arena.
Quando eravamo più piccoli il papà era solito scendere in città a portare i prodotti della montagna (uova, burro, latte), ci raccontava dunque di passare spesso da piazza Bra, dove c'era questa Arena maestosa e imponente, quasi inarrivabile. Sapevamo che lì dentro venivano messe in scena le grandi opere, ma che erano "cosa" per i più facoltosi. Un'immagine che è rimasta impressa nelle nostre menti fino a quando, da adulti, abbiamo potuto «toccare con mano» quel ricordo e partecipare al nostro primo spettacolo dentro all'anfiteatro anche noi.

Che per qualcuno di voi è stata proprio l'Aida di Verdi, la stessa opera che ha inaugurato il centenario del festival areniano.
Esatto. Un evento davvero emozionante l'apertura della centesima edizione del festival, con questa Aida, presentata nella forma di un'opera impegnativa, ma allo stesso tempo ricca di suspense ed emozioni, in un allestimento del tutto nuovo, minimalista, che ha fatto risaltare tutta la bellezza dell'Arena.

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