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INTERVISTA AMMINISTRATORI DELL’HOTEL VERONA

Enrico e Camilla Perbellini

Felici di esserci. Così è come stare dentro alla storia
Impresa e cultura I colori della Turandot sugli abiti di Enrico e Camilla Perbellini dell’Hotel Verona
Impresa e cultura I colori della Turandot sugli abiti di Enrico e Camilla Perbellini dell’Hotel Verona
Impresa e cultura I colori della Turandot sugli abiti di Enrico e Camilla Perbellini dell’Hotel Verona
Impresa e cultura I colori della Turandot sugli abiti di Enrico e Camilla Perbellini dell’Hotel Verona


«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia». Così Adriano Olivetti, poco meno di un secolo fa. Una visione che trascendendo la storica funzione dell’impresa, quale mero generatore di utili, apriva la strada a un modello rivoluzionario, finalizzato a provvedere alla crescita economica di un territorio unitamente allo sviluppo sociale e culturale della sua comunità. «Questo l’insegnamento che, da imprenditore del settore alberghiero, ho voluto fare mio da subito e a maggior ragione quando si è palesata l’occasione delle 67 colonne per l’Arena», afferma Enrico Perbellini, amministratore dell’Hotel Verona - già membro della giunta nazionale di Confindustria Alberghi dal 2007 al 2008 - entrato nella membership promossa da Fondazione Arena e Gruppo Athesis fin dalle prime ore. E quest’anno sostenitore dell’edizione collegata al Centenario del festival lirico. Alla guida dell’azienda di famiglia dal 1990, Perbellini ha tenuto fede all’ispirazione giuntagli dall’imprenditore di Ivrea, anche quando, una decina di anni fa, ha provveduto all’ampliamento e riqualificazione della struttura di Corso Porta Nuova per convertirla in «hotel design», poi alla certificazione europea per il basso impatto ambientale «Ecolabel» («scelta doverosa - spiega -, per un senso di rispetto verso il territorio in cui operiamo, ma anche a beneficio della collettività»), e ancora, alla certificazione come sito accessibile all’utenza non vedente.

Insomma, un paradigma che ritorna quello olivettiano. Cosa ci vede di così vicino all’iniziativa di Fondazione Arena?
Olivetti riteneva che uno dei principali scopi di una azienda fosse apportare beneficio a tutta la società. E in questo obiettivo rientra, per forza di cose, anche favorirne lo sviluppo culturale. Con il progetto a sostegno dell’Arena, la Fondazione dà al mondo dell’impresa (ma non solo) scaligera, l’opportunità di riscoprire questa vocazione. Le cito un altro illuminato, questa volta di casa nostra, Vittorino Andreoli, secondo il quale alla crescita economica del Veneto, non è seguita altrettanta crescita culturale. Ecco, ora abbiamo la possibilità di rimediare e imboccare esattamente quella strada. Contribuendo alla conservazione e valorizzazione dei nostri asset culturali e rendendo i luoghi della cultura accessibili a tutti. Anche in questo, penso a quando Olivetti portava gli operai a teatro e al cinema, portando la Cultura letteralmente dentro la fabbrica. Un gesto particolarmente importante che va valutato in quel contesto storico.

Quindi, per lei, partecipare alle 67 colonne è sinonimo di impresa sana?
Proprio così. Non si tratta di avere solo un buon bilancio, ma di avere uno sguardo allargato soprattutto al fattore umano. Per noi essere un'azienda sana significa per esempio vedere i nostri collaboratori felici. Molti, qui, hanno meno di 30 anni e seguono percorsi di apprendistato finalizzati a una occupazione stabile. Nostro desiderio è creare qualcosa che lasci il segno anche dopo di noi. Allo stesso modo, investire nelle 67 colonne ha significato andare oltre i numeri, e mettersi – come dico io – “dentro la storia”. Nelle pieghe del nostro bilancio siamo riusciti a trovare la quota da investire in questo progetto di Art Bonus, pensando di aderire alla membership anche senza necessariamente avere qualcosa in ambio. Ma alla fine, il ritorno c’è eccome. Ciò che investiamo oggi si traduce in un impatto sul territorio che riguarda anche tutti noi. Un’azienda, che produca beni o servizi, non dovrebbe mai tirarsi fuori da alcuna visione di crescita della propria comunità.

Che “spettacolo” è, per lei, l’Arena?
Ha detto bene: che spettacolo….! È uno spettacolo completo, dove in tre ore di messa inscena posso vedere contemporaneamente sul palco centinaia di figuranti, con cavalli e carrozze, musicisti, artisti. Quale altro teatro al mondo offre una visione del genere? Quando sediamo in Arena, siamo dentro un monumento millenario, siamo dentro la bellezza di tante arti messe assieme. Siamo, ripeto, dentro la storia. Anche noi, come Olivetti, quest’anno vorremmo coinvolgere i nostri dipendenti e organizzare una serata ad hoc, per far loro capire pure cosa muove, ogni stagione, i flussi da Paesi lontani, uno per tutti il Giappone, che durante la stagione lirica scelgono il nostro territorio. Siamo la città dell’Opera. E di questo dobbiamo tutti andare fieri ed esserne custodi.  •. F.S.

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