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Stati Uniti

New York, città tragica dove i giovani si sono riappropriati delle strade

Dal 1997 Francesca Magnani documenta i cambiamenti della Grande Mela
Reboot NYC, uno dei progetti a lungo termine sulla strada di Francesca Magnani
Reboot NYC, uno dei progetti a lungo termine sulla strada di Francesca Magnani
Reboot NYC, uno dei progetti a lungo termine sulla strada di Francesca Magnani
Reboot NYC, uno dei progetti a lungo termine sulla strada di Francesca Magnani

Dal 1997 le strade di New York sono il suo palcoscenico urbano. Il coperchio dell’obiettivo sempre in tasca, per lasciare l’occhio della macchina fotografia libero di rubare ogni istante. «Se mi preoccupassi ogni volta di coprirlo non scatterei l’ottanta per cento delle foto. È un’ispirazione che nasce in un secondo e a cui non si deve mettere barriera», racconta Francesca Magnani, rinomata street photographer padovana.

A condurla nella Big City fu la carriera accademica. Laureata in lettere moderne a Bologna, approda alla City University grazie a una borsa di studio per insegnare italiano. Poi il passaggio alla New York University. «Dove insegnavo, il ruolo di docente dava la possibilità di frequentare un corso gratuito. Scelsi quello di camera oscura: mi comprai una macchina e iniziai a stampare le mie foto. Da quel momento, era il 1998, ho iniziato a muovermi a piedi per New York e scattare». E la sua fotocamera non si è mai fermata.

 

Scatti di vita

Centinaia le storie raccontate, «nate tutte dalla strada. Cammino, mi imbatto in qualcosa che mi smuove e trovo il modo di raccontarlo. La strada è il mio palcoscenico, esterno e interno, in cui irrompono personaggi o cose. Pochi soggetti sono in posa, il resto mi si presenta davanti, mi appare. Quando incontro una persona penso che non avrei potuto vederla in nessun altro posto e in un ritratto ci vedo quello che c'è intorno e anche un po’ il riflesso di me». Mostra digitale in tempo reale di questi incontri è il suo profilo Instagram @magnanina.

 

Francesca Magnani a New York
Francesca Magnani a New York

A catturare gli occhi della fotografa padovana sono spesso luci, colori, piccoli dettagli in cui si specchia una città eclettica come New York. «Lì tutto è in perpetuo cambiamento, come se in ogni angolo si stratificassero insegne, colori, negozi. È un continuo sovrapporsi di immagini, come se in tempi rapidissimi la strada cambiasse vestito». Le storie che si intrecciano negli scatti di Magnani rendono poi possibile sbirciare con discrezione anche il cuore ferito di una città che negli ultimi vent’anni è stata scalfita da cruciali avvenimenti. «Per strada ho assistito a molte cose: l'undici settembre, l'uragano Sandy e il grande black out, l’aumento della povertà, i movimenti sociali, la pandemia».

 

Immagini e ricordi

Una delle foto più strazianti catturate da Magnani ritrae il denso fumo nero intorno alle Torri Gemelle. «L'undici settembre i ponti vennero chiusi al traffico e la gente tornava a casa attraversandoli a piedi. Io salii su quello di Williamsburg a rifare una foto che avevo fatto l'anno prima, "La città catturata". Era un giorno caldo e limpido e l'atmosfera surreale. Si faticava a rendersi conto di quanto era accaduto poche ore prima». È poi attraverso gli occhi dei newyorkesi che politica, economia e cambiamenti sociali mostrano, immortalato in queste istantanee, il loro corso.

«È una città tragica», commenta la fotografa, «la strada racconta di un fortissimo razzismo e di povertà estrema. Ho visto persone distese per strada arrivate a un punto in cui nemmeno provavano più a chiedere aiuto. Si vede lo sfascio. A New York, a differenza dell’Italia, il bello uno se lo deve andare a cercare. O spende migliaia di dollari perché crede che il bello costi o lo trova nella passeggiata, nel fiore, nel sorriso». Ma dopo le strade che sprofondano nel dolore, l’obiettivo di Magnani ha saputo raccontare anche la rinascita.

«Una cosa notevolissima che è cambiata, e che ha modificato il modo di fare soprattutto dei più giovani, è stato il senso di riappropriazione delle strade durante il Black Lives Matter. Le lunghissime marce quotidiane sui ponti, la folla che intonava slogan come “No justice no peace” camminando in questa dimensione di unità che non c’era mai stata prima in modo così continuato nel tempo. Ho seguito queste proteste e ritratto i suoi manifestanti. È stato un momento straordinario per me. Come lo sono state le proteste delle donne iraniane e quelle contro le leggi restrittive sull’aborto».

Come in tutto il mondo poi, anche nella Big City il Covid aveva preso il sopravvento e Magnani non si è lasciata sfuggire la possibilità di documentarne il corso. Per il Smithsonian Museum ha dato alla luce un progetto sul face covering: «Fino a molto tardi non erano disponibili le mascherine e ci si doveva coprire con quello che si aveva in casa. Ho capito come non sia scontato che tutti possiedano le stesse cose, così ho documentato queste “mascherine fai da te”».

 

La rinascita

Ma a stupire la fotografa è stato il post-Coronavirus. «La pandemia ha cambiato totalmente l'assetto stradale. Lo si vede dai ristoranti che ora vivono anche all’esterno o in progetti come “Reboot”, una stupenda festa organizzata da tre dj su un molo di fronte allo Sky Line che fotografo da due anni. Lì ci vedo la gente che torna a godersi insieme i luoghi della città».

Ultimo lavoro poi, esposto poche settimane fa nella sua città natale Padova, è «Maschi e maschere». Una raccolta di volti maschili attraverso i quali raccontare il post pandemia ma anche le maschere astratte che indossiamo ogni giorno. «Attraverso i loro visi, i loro corpi e vestiti ho raccontato la città e i quartieri». Il richiamo dell’Italia talvolta si fa sentire. «Ogni tanto si deve tornare per veder meglio dove ci si trova. Se ci stai troppo vicino è come vedere una cosa non a fuoco». Ed ecco allora che dopo una tappa a Parigi, Magnani è arrivata a Milano. L’ispirazione per nuovi lavori è già iniziata a fluire e la fotografa lancia così un appello: «Alle persone della città in cui sono dico sempre: “facciamo qualcosa insieme”. Mi piacerebbe dare vita a un progetto anche a Verona». .

Francesca Maria Chiamenti

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