<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La poetessa Frabotta

Dante è ancora tutto da scoprire

Incisione di Gustave Doré, Paolo e Francesca
Incisione di Gustave Doré, Paolo e Francesca
Incisione di Gustave Doré, Paolo e Francesca
Incisione di Gustave Doré, Paolo e Francesca

ROMA. Rileggendo la Divina Commedia, a 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, «c'è veramente molto da scoprire in questo testo meraviglioso», anche che «Dante era molto probabilmente un epilettico». Lo dice la poetessa Biancamaria Frabotta, docente di Letteratura italiana alla Sapienza di Roma da poco in pensione, che al Sommo Poeta ha dedicato una poesia in cui fa riferimento alla sua «somma epilessia che gli ispirò eterna verità», ai mancamenti e alla commozione di Dante. «L'epilessia di Dante è una tesi che è stata sostenuta da uno studioso molto serio, Marco Santagata, morto poco tempo fa, che ha scritto vari libri facendoci notare quanti mancamenti ci siano nella Divina Commedia. Dante soffriva di molti mali fisici e come donna questo mi ha colpito in modo particolare. È uno dei pochissimi poeti che nel Medioevo descrive i suoi mali, uno di questi era proprio, molto probabilmente, l'epilessia. Dante descrive che cosa si prova a precipitare in un mancamento e a rimanere totalmente spaesati e straniati quando si ritorna alla coscienza» spiega la Frabotta. «Questo - aggiunge - non veniva detto, perchè nel Medioevo si pensava che l'epilessia fosse un male contagioso. Dante soffriva anche agli occhi, perchè leggeva moltissimo in una situazione che certo non era la nostra. Il poeta ha un mancamento quando conosce Beatrice e lo descrive. Del resto la Divina Commedia è una visione e questo è un motivo di grandissima modernità». Letta il 21 marzo su Radio3, in occasione della Giornata mondiale della Poesia, la richiesta era che la poesia della Frabotta si ispirasse a un verso dantesco. «Io ne ho scelto uno che viene dal girone degli invidiosi del Purgatorio: "A me pareva, andando, fare oltraggio, veggendo altrui, non essendo veduto"» spiega la poetessa sulla quale «ha agito molto questa ricorrenza. Pure io mi sono rimessa dentro Dante» dice. «Piange il poeta senza invidia, male di cui non patisce e compatisce fra le lacrime la nostra cecità senza visione» sono i primi versi della poesia.«Gli invidiosi sono stati puniti in modo terribile: i loro occhi sono cuciti con un fil di ferro e quindi sono costretti a essere guardati da Dante, ma loro non possono vedere. Una cosa verso la quale il Sommo Poeta prova un tale dolore che addirittura si mette a piangere. Gli pare di fare un'offesa terribile a guardare, fissare questi sciagurati sotto uno sguardo che non possono ricambiare». Non è facile che Dante pianga nella Commedia e nella poesia della Frabotta «piange per i poeti d'oggi». «Dante crede al suo viaggio, alla sua visione e lo fa con moltissimi elementi di grande umiltà. Ma "superbo della sua superbia", come dico nei miei versi, sapeva che sarebbe stato punito, se non avesse avuto la grazia di Dio che lo proteggeva nella sua visione. Il poeta conosce la sua grandezza, ne è cosciente. Un vero genio è nello stesso tempo moderno e anche perfettamente consapevole della sua genialità» sottolinea.La visione delle donne nella Commedia ma anche in altre opere di Dante, nel Dolce Stil Novo, non ha niente a che vedere con l'oggi. «Beatrice fa tramite, ma lo rimprovera e anche in modo intenso. Ho amato molto a lungo e conosciuto bene Giorgio Caproni che aveva scritto un libro bellissimo "Il seme del piangere" che era proprio una citazione da Dante, quella in cui Beatrice dice al poeta che si commuove: "deponi il seme del piangere". Nella Commedia e anche in tante altre opere, nel Dolce Stil Novo, la donna era al centro. Ma se si va a vedere sappiamo molto poco di Beatrice, pare fosse una donna sposata».«Quando stiamo a contatto di questi grandi», prosegue, «dobbiamo cercare di capire quanto lontana da noi era la loro epoca, lo dicevo sempre ai miei studenti. La poesia ha la possibilità di durare nel tempo, purchè si capisca e si rispetti per quello che è. La poesia è una cosa complicata» sottolinea la Frabotta.«Dire le donne in Dante ci porta da un'altra parte. È qualcosa che non ha nessuna corrispondenza con il fatto di riconoscerci come genere e chiedere parità» dice la Frabotta e aggiunge: «Si legge Dante e magari non lo si capisce. Chi sono i giovani che leggono e capiscono la lingua di Dante, quanto si studia nelle scuole?».Quello che si augura la poetessa è che «si senta la mancanza di Dante. Penso essenzialmente ai giovanissimi che mi auguro sentano la mancanza di qualche cosa che loro potrebbero non conoscere mai più» sottolinea la Frabotta che sta lavorando a un nuovo libro di poesie in cui ci saranno, oltre a quelli scritti per il 21 marzo, anche «altri versi in cui ho fatto un paragone tra l'epilessia di Dante e Dostoevskij che era un vero epilettico» racconta. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mauretta Capuano

Suggerimenti