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I soggiorni a Verona

Dante tra chiese e biblioteche

Dante alla corte di Cangrande nei palazzi scaligeri durante il suo soggiorno a Verona secondo la ricostruzione di Giancarlo Zucconelli
Dante alla corte di Cangrande nei palazzi scaligeri durante il suo soggiorno a Verona secondo la ricostruzione di Giancarlo Zucconelli
Dante alla corte di Cangrande nei palazzi scaligeri durante il suo soggiorno a Verona secondo la ricostruzione di Giancarlo Zucconelli
Dante alla corte di Cangrande nei palazzi scaligeri durante il suo soggiorno a Verona secondo la ricostruzione di Giancarlo Zucconelli

Chi conobbe Dante a Verona? Quali ambienti frequentò? Con chi intrattenne conversazioni che potessero soddisfare la sua sete di sapere? Siamo abituati a pensare che il sommo poeta abbia stretto amicizia soprattutto con la famiglia Della Scala: con Bartolomeo, il gran lombardo che gli aveva offerto «lo primo refugio e 'l primo ostello», ma specialmente con Cangrande, al quale dedicherà il Paradiso, e con la sua corte e il suo entourage composto da politici e uomini d'armi e di cultura («Baroni e marchesi de tutti i paesi/gentili e cortesi qui vedi arrivare/quivi astrologia con philosofia/et de theologia udirai disputare», cantava il poeta Manoello Giudeo, contemporaneo di Dante, descrivendo il palazzo di Cangrande).

Le numerose indagini dedicate ai soggiorni dell'Alighieri a Verona hanno anche evidenziato le sue relazioni con l'ambiente della Biblioteca Capitolare e dei canonici della cattedrale, davanti ai quali pronunciò la Quaestio de aqua et terra il 20 gennaio del 1320, come ricorda una lapide affissa all'ingresso della chiesa di Sant'Elena, nel complesso del duomo. Ma Dante, di cui ricorrono quest'anno i 700 anni dalla morte, trascorse almeno sette anni in riva all'Adige, tra il 1303 e il 1304 e di nuovo dal 1312 al 1318. Se diamo credito all'ipotesi che la sua permanenza sia durata ininterrottamente fino al 1320, Verona è la seconda città dove il vate visse più a lungo, dopo Firenze.Pertanto è necessario ampliare il raggio delle ricerche e immaginare nuovi circuiti di relazione con altri protagonisti della vita cittadina. Lo ha fatto la professoressa Mariaclara Rossi, docente di Storia del cristianesimo e delle chiese nel dipartimento Culture e civiltà dell'università di Verona ed esperta di istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel Medioevo, ipotizzando che «un primo personaggio che Dante può aver frequentato fosse il vescovo Tebaldo, che guidava la chiesa veronese agli inizi del Trecento e di cui conosciamo gli ottimi rapporti che ebbe con i signori scaligeri».

Tebaldo, spiega la docente, «era un frate agostiniano formatosi nel convento di Santa Eufemia, un uomo colto e ritenuto tale sia dagli studiosi che dai suoi stessi contemporanei. Due secoli più tardi un altro agostiniano veronese, Panvinio, nelle sue Antiquitates Veronenses lo descriverà come «dedito all'ascolto dei disceptantes», di coloro che discettano. Perciò è verosimile pensare che Tebaldo fosse presente alla discussione della Quaestio», evento attorno al quale ruota buona parte delle indagini, poiché è l'unico con un datazione topica e cronica precisa che colloca Dante a Verona poco più di 700 anni fa. A tal proposito, dalle ricerche emerge un altro nome: quello di Bartolomeo Ervari, uno dei canonici della cattedrale e, secondo alcuni studiosi, colui che forse propose di ospitare il poeta per la dissertazione. L'ipotesi sarebbe suffragata dal fatto che «l'Ervari era fiorentino e che l'eredità della sua famiglia includeva una casa che negli anni Trenta del Trecento risultava affittata al figlio di Dante, Pietro Alighieri. Presumibilmente, dunque, i due si conoscevano».Allargando l'orizzonte oltre l'ambiente della Biblioteca Capitolare, tanti altri piccoli tasselli spingono ad approfondire la storia della chiesa e del clero veronese per tracciare un panorama più ampio delle personalità con cui l'Alighieri può aver intrattenuto rapporti mentre trascorreva parte del suo esilio a Verona. «Ci si muove sempre nel campo delle congetture, però, per fare un esempio», aggiunge la docente, «dal capitolo della cattedrale dipendeva il monastero di San Michele in Campagna, che a fine del Trecento e inizio Quattrocento annoverava tra le monache benedettine ben tre nipoti di Dante», sottolinea.

E prosegue: «Si può pure supporre che l'Alighieri non fosse indifferente agli importanti patrimoni librari custoditi dagli ordini mendicanti e dagli altri monasteri femminili della città: la biblioteca dei frati minori di San Fermo e quella delle clarisse del convento di Santa Maria delle Vergini», al tempo ubicato nel cuore della moderna Veronetta, «che negli anni Venti del Trecento possedevano, tra gli altri, il codice che contiene l'Audite poverelle di san Francesco d'Assisi, oggi conservato dalle clarisse sacramentine nel monastero di Novaglie». E ancora, «la biblioteca degli agostiniani di Santa Eufemia e quella dei frati domenicani di Santa Anastasia», che più avanti negli anni verrà distrutta da un incendio. All'epoca «veri e propri centri culturali, molto vivaci e animati da figlie e figli dell'aristocrazia cittadina che portavano in dote volumi e codici di pregio o che su tali codici studiavano, per poi predicare». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Laura Perina

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