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Viviamo dentro una tragedia collettiva

C’era uno in tv che diceva che in Inghilterra la denuncia dei redditi la si fa con un solo foglio A4 in due minuti. Quell’uno si chiedeva perché non sia possibile fare lo stesso in Italia. Non si può perché qui da noi ci sono più di settecento tra deduzioni o detrazioni di imposta. Cioè ogni denuncia dei redditi è diversa dall’altra. Spesso di un incredibile niente. In edilizia – io mi occupo di questo – è lo stesso. Nessuno sa se quando chiede al Comune di poter costruire qualcosa, ne ha diritto o meno. Per quarant’anni le leggi dicevano ai Comuni di considerare l’edilizia come attività penalmente rilevante tollerata in modica quantità. Mentre fino al 1942 (poi fino al 1967) c’era lo ius aedificandi inerente alla proprietà del suolo, la prima Repubblica e parte della seconda hanno detto che si poteva fare solo quello che lo Stato consentiva. Il cittadino come minus habens da tenere sotto controllo perché non faccia danni. Ed infatti i titoli edilizi erano prima Licenza (non si potrebbe ma solo per stavolta ti concedo), poi Concessione (appunto benignamente ti concedo) ed infine Permesso di Costruire (ma non dovrebbe essere un diritto?). Nel tempo il delirio normativo si è intensificato. Sono arrivate la Dia e poi la Scia e poi la Cila e perfino la Cila-S. Ognuna con le sue brave casistiche. Se una cosa si deve fare con Cila, guai a farla con Scia. Del resto con questa attività normativa parossistica, nessuno ci capisce niente. La norma deve diventare prassi per essere applicata con facilità come se fosse naturale. Mi dicono che nel diritto tributario la confusione regna sovrana. L’Ade (Agenzia delle Entrate) spesso ci prova. Manda quelle buste con scritto su «atti giudiziari» e tu ti precipiti dal tuo commercialista o Caf e quelli subito ti dicono di pagare e tacere perché il nemico ti ascolta. Capita magari che invece fai ricorso e lo vinci ma non c’è soddisfazione: ti hanno dato ragione per motivi sbagliati. Leggono le leggi in maniera diversa da quella suggerita dall’italiano normale. Viviamo dentro una tragedia collettiva. Si pensa di sostituire il normale buon senso con risposte preconfezionate spesso sulla base di algoritmi che distillano come unico il tuo caso che invece è identico a tutti gli altri. Con il Governo attuale che asseconda questo andazzo. Ha fatto una legge per i rave party quando dovrebbe essere normale che non si entra in casa d’altri senza permesso. E pensare che questo Governo è nuovo di zecca. Mai entrato in altri Governi. Non c’è speranza. Sono tutti uguali. Pro tempore è rimasto il diritto di parlare. Prima che arrivi l’intelligenza artificiale a confonderci. Bruno Gilioli SOAVE

Bruno Gilioli

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