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Un’altra occasione perduta

Leggo della decisione della Camera di Commercio di vendere all’asta il primo piano della Domus mercatorum, in piazza Erbe, partendo da una base d’asta di 7 milioni di euro. A quanto consta, l’ente proprietario ha chiesto di abolire il vincolo di una destinazione pubblica del bene; sicché potrà darsi anche il caso di una utilizzazione a fini abitativi privati. Certo l’edificio è da molti decenni inutilizzato; non sempre il porticato al piano terreno, a fianco della sede di un’agenzia del Banco Bpm, è stato (in anni lontani, ma non lontanissimi) ben frequentato. Per certi versi dunque è un bene che ci sia una riconversione ad usi redditizi e comunque legittimi, visto che c’è un proprietario e fa i suoi interessi. Anche se sono abbastanza vecchio da ricordare che poco più di 40 anni fa (già allora mi interessavo di storia della città) la Camera di Commercio era così orgogliosa della sua sede, da finanziare un volume di ricerca storica (B. Vassalini, E. Rebonato, La Casa dei mercanti di Verona: suoi ordini e sue vicende, Verona, ed. Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Verona, 1979). La decisione del resto era nell’aria, visto che una delle ultime ipotesi di utilizzazione dell’edificio era legata all’insediamento della catena di caffè americana Starbucks (che poi scelse via Pellicciai). Sono naufragate invece tutte le altre proposte alternative, per l’uso nell’interesse pubblico di questo spazio pregiatissimo. Anni fa si discusse di collocarvi il progettato museo del vino, per il quale forse lo spazio era troppo angusto. Più convincente e importante fu il progetto del 2013, fatto circolare da una associazione temporanea d’impresa capeggiata dallo studio Contec, che prevedeva per il primo piano della Domus mercatorum un uso museale. Forse era quella la scelta giusta: dalle finestre si vede piazza Erbe, il cuore della città; e i musei virtuali di storia urbana (basta andare a Bologna, o a Torino: non tanto lontano – ma si può vedere molto anche dal proprio personal computer) consentono oggi realizzazioni meravigliose. Piccole mostre fotografiche mirate, l’Urban Center del quale si favoleggia, uno spazio attrezzato per la presentazione di libri o per una didattica di storia urbana indirizzata alle classi degli studenti veronesi o alle ‘gite scolastiche’... Niente di tutto questo. Si conclude dunque malinconicamente (almeno per me) la vicenda «pubblica» di un edificio che ha 850 anni di storia, ed è intimamente legato non solo alla vocazione commerciale e manifatturiera della città, ma al suo stesso sviluppo democratico, nel medioevo comunale. Quando ancora non esisteva il dirimpettaio palazzo del Comune e i podestà e i consoli di Verona erano ospitati nelle case dei potenti, il popolo di Verona (concio maxima et plenissima, «assemblea piena e affollatissima», dicono le fonti) si accalcava nel 1172 di fronte alla domus, allora in legno; solo al tempo di Alberto I della Scala infatti l’edificio fu ricostruito in mattoni. La Domus mercatorum di Verona, del resto, è la più antica associazione mercantile del medioevo italiano, insieme con quella di Milano. Essa mantenne poi le sue funzioni per tutta l’età scaligera, viscontea e veneziana, sino alla rivoluzione francese e alla trasformazione in Camera di Commercio, con varie attribuzioni (in età napoleonica, austriaca e italiana). Lo stesso restauro tardo-ottocentesco, che portò fra l’altro all’applicazione dei merli sino ad allora inesistenti, è una delle testimonianze del nostalgico «medievalismo» cittadino. Dispiace dunque che un’ennesima occasione per valorizzare nell’interesse collettivo un edificio che davvero ha un valore inestimabile per la storia della città sia andata perduta. Gian Maria Varanini VERONA

Gian Maria Varanini

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