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Riconoscere il ruolo centrale che ricoprono i docenti italiani

Nei giorni scorsi ho più volte letto sui social osservazioni e giudizi pesanti sui docenti. Secondo questi signori un docente, di fatto, è una specie di perdigiorno che inizia le ferie il 5 giugno e le termina il 15 settembre: ferie pagate. Prima di tutto è necessario sottolineare il fatto, molto grave, che i nostri docenti hanno gli stipendi più bassi d’Europa (esclusi quelli delle province autonome di Trento e Bolzano che hanno però un obbligo settimanale superiore) e solo dopo 35 anni di servizio raggiungono i 29mila euro lordi all’anno, a fronte dei 50mila di Germania, Svizzera, Danimarca ecc. Vorrei ricordare che, senza dover citare le tante normative che riguardano la Scuola, vedo giorno dopo giorno la vita di chi insegna, dalle scuole per l’infanzia alle superiori. E allora mi domando: quei signori hanno mai vissuto gomito a gomito con un docente delle secondarie di primo grado o delle secondarie di secondo grado? Si sono mai accorti, qualsiasi sia l’argomento delle loro discipline, quanta preparazione quotidiana e a lungo termine serva per insegnare a giovanissimi, agli adolescenti e a coloro che stanno per divenire giovani adulti, per non far perdere tempo, desiderio, e gusto nella frequenza della scuola scelta? Chi ha scritto quelle osservazioni sa cosa vuol dire imparare ad imparare? Sa cosa significhi e che peso temporale abbiano le correzioni dei compiti, gli schemi delle lezioni, i potenziamenti disciplinari oggi presenti in tanti istituti superiori? Sa cosa vuol dire insegnare – per una scuola secondaria di secondo grado – a una trentina di studenti e studentesse, correggere pacchi e pacchi di compiti in classe? Si è mai chiesto in cosa consista e come si prepari una interrogazione? Penso anche ai docenti di Educazione fisica – ora chiamata Motoria per le scuole primarie: non si tratta di far eseguire quattro esercizi. Perché questo lavoro è educazione delle capacità corporee (quindi mentali) di giovani e giovanissimi; non viene inventato dalla mattina alla sera. È il frutto di una professionalità che deriva da una laurea e, spesso, da personali pratiche sportive dei docenti e quindi da sacrifici, impegno, tempo. Ho vissuto 47 anni nella Scuola e per la Scuola e per 33 anni ho svolto la complicata funzione di dirigente scolastico (26 anni al Maffei: non dovrei ricordarlo perché tanti ex mi conoscono e, quando li incontro, mi salutano con un sorriso; lo faccio perché porto nel cuore quel «mio» liceo), quindi credo di poterle scrivere queste osservazioni ribadendo quanto ho già scritto: la Scuola, tutte le scuole, sono l’ultima spiaggia di salvezza per la nostra società malata di consumismo, di frettolosità, di tante violenze, di tante banalità fatte passare per imprese in un contesto dove sembra sia il successo economico l’unico scopo di una vita. Infine: all’alba nel nostro Stato, il parlamento dell’allora Regno di Sardegna, in Torino promulgò la prima legge sulla Scuola (la Legge Casati, 13 novembre 1859; l’11 luglio 1859 era stata firmata la pace di Villafranca). Forse non era quella legge il primo frutto del nostro Risorgimento, da riscoprire, senza paura di perdersi nelle retoriche delle patrie glorie?

Francesco Butturini

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