Quei laureati sottopagati andranno via

Ho letto con interesse l’articolo comparso nei giorni scorsi riguardante il farmacista di Cologna Veneta che da mesi non riesce a trovare dei giovani colleghi da inserire in farmacia nonostante offra 1.500 euro mensili adducendo che nessuno vuol lavorare il sabato o fare turni al week-end. Vorrei spezzare però una lancia a favore di questi giovani laureati, poichè non è la mancanza di volontà di lavorare che manca, bensì le leggi capestro a cui devono sottostare per poter entrare nel mondo del lavoro. A tutti viene «richiesto» (obbligato) di aprire partita Iva ed essere inquadrati come «collaboratori», così dietro presentazione di regolare fattura, ricevono un compenso di 1.500 euro. Sembrano tanti, ma fate voi un po’ di conti: si deve pagare il 15% di tasse (flat-tax per regime forfettario). Il 23% di contributi Inps; pagare il commercialista e non hanno 13esima, ferie pagate, malattia pagata e Tfr: alla fine si ritrovano a malapena 900 euro netti in tasca. Il datore di lavoro risparmia tutti i contributi, la 13esima, il Tfr, il consulente del lavoro per la busta paga, non paga le ferie e le eventuali malattie (il tutto gli costerebbe quasi il doppio al mese). Parlo a ragion veduta, poichè mia figlia che è tecnico veterinario, è nella stessa situazione; a 27 anni, lavora tutti i giorni 8 ore e il sabato fino alle 15. Rassegnata mi dice: papà, dove vuoi che vada con 850 euro al mese? Nessuna banca mi dà il mutuo, non posso nemmeno pagare l’affitto e le bollette! Quindi non è a volte la mancanza di buona volontà dei giovani, ma queste assurde leggi di mercato del lavoro. Nell’immaginazione collettiva il mondo delle partita Iva sembra il mondo degli evasori fiscali, ma non è sempre così. Per assurdo stanno meglio gli operai. Poi non lamentiamoci se i nostri giovani cervelli laureati fuggono all’estero: là sono pagati il triplo e messi in regola. Giampaolo Camis VERONA