<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

La psicosi e l’ottimismo

Siamo ancora dentro il tunnel del contagio da coronavirus ma, stando alle parole degli scienziati del settore, si intravvede già la luce di uscita. Ma il contagio non ha preso solo il corpo ma anche la psiche, provocando appunto una psicosi collettiva. La psicosi, di per sé, è una malattia con una serie di anomalie psichiche e di disturbi mentali; ma talvolta ne estendiamo il significato ai fenomeni di apprensione, di timore e di paura, individuale e collettiva. Questo tipo di psicosi porta a dei risultati socialmente depressivi: abbassa la vitalità delle persone, riduce la socialità e l’ottimismo e riporta ai bisogni primari, della sicurezza e del sostentamento di sé e della famiglia (come testimonia l’assalto ai supermercati). La malattia del coronavirus, come altre malattie, ha effetti recessivi. Si ritorna alle paure primitive, come la paura dell’ignoto: con il coronavirus ci si trova davanti a dei virus sconosciuti, che non si sa come debellare. Prima dell’invenzione del vaccino le epidemie hanno sempre scatenato reazioni irrazionali, di paura collettiva. Il Manzoni, nei Promessi Sposi e ancor più nella Colonna infame, ci descrive in modo dettagliato le reazioni insensate della gente alla peste del 1630; il Verga, nel 1887, racconta la paura e la ferocia collettiva nella Novella «Quelli del colera». La psicosi contro le pandemie è antica quanto il mondo e spesso i timori di contagio si trasformano in fenomeni di discriminazione e di caccia ai colpevoli, agli «untori». Il Boccaccio ci racconta la peste nera del Trecento, con la caccia agli ebrei, accusati di avvelenare i pozzi. La paura fa parte della natura umana, è un’emozione utile perché ci mette in allerta, ma quando sfugge al controllo della razionalità travolge l’equilibrio delle persone e genera una sorta di contagio psicologico che deresponsabilizza e porta alla ricerca di un capro espiatorio. «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura», diceva Roosevelt, «è la paura stessa». Cosa fare? Anzitutto non scambiare il virus, obiettivo da battere, con le persone contagiate, che vanno sempre rispettate; non agitarci e contrapporre alle reazioni negative della paura e della psicosi, contagiose come il coronavirus, un po’ di buon umore e di ottimismo, pure contagiosi, ma in positivo! Pio Cinquetti VERONA

Pio Cinquetti

Suggerimenti