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I tempi lunghi della fusione

Qualche veronese ricorderà quella memorabile conferenza tenuta al Teatro Filarmonico nel 1985 dal professor Carlo Rubbia, fresco di premio Nobel per la Fisica, ottenuto l’anno precedente. Nel dibattito che seguì la sua relazione, gli fu chiesto un parere sulla fattibilità di centrali termonucleari sicure da rischi di radiazioni in caso di incidenti. In altre parole, gli si chiedeva a che punto era l’applicazione pacifica della fusione nucleare, che fino ad allora era stata identificata esclusivamente nelle terrificanti esplosioni delle bombe all’idrogeno. Rubbia, con grande onestà professionale, chiarì che dal punto di vista teorico era già stata dimostrata la possibilità di trarre energia da una fusione nucleare controllata, ma i problemi da risolvere erano tali e tanti per cui si prevedeva un tempo per la realizzazione valutabile in almeno mezzo secolo! Il grande scienziato aveva visto giusto. Sono passati da allora già 35 anni e solo ora un consorzio formato dalle nazioni scientificamente più avanzate (sì, c’è anche l’Italia!) sta costruendo in Francia un grande reattore sperimentale che fra non meno di dieci o quindici anni sarà in grado di funzionare. E attraverso il processo di fusione nucleare controllata, si avrà una grande produzione di energia elettrica. Nel suo nocciolo si svilupperanno temperature elevatissime, simili a quelle che permettono al Sole e alle stelle di produrre una enorme quantità di calore per miliardi di anni! La strada è stata tracciata e dopo aver superato i più severi collaudi quella centrale sarà finalmente una realtà, e sono certo che altre centrali di quel tipo da lì in poi la affiancheranno. Ma come verranno accolte? Questa è una terribile incognita. Se da un canto la fusione nucleare controllata potrà finalmente risolvere il problema della produzione di energia senza inquinamento atmosferico e surriscaldamento globale, non emettendo più la CO2 delle centrali a combustibile fossile, e sviluppando in caso di avaria un bassissimo livello di contaminazione radioattiva e per breve durata, come reagiranno a livello planetario tutti coloro che sono oggi interessati all’estrazione e alla distribuzione del petrolio e del carbone una volta che il loro utilizzo si ridurrà drasticamente? E cosa accadrà per quella miriade di fabbricanti di motori a combustione interna, di caldaie e di servizi legati all’uso dei combustibili? Potrebbe essere una rivoluzione paradossale, ma drammatica a livello globale. Quando vengono toccati i propri interessi economici l’uomo è portato a sminuire o negare l’evidenza di fatti che potrebbero per contro favorire un miglioramento planetario e stabile nel tempo. Non è questo uno scenario imminente, e ovviamente non può interessare chi scrive, ma neanche la maggior parte di coloro che mi leggeranno. Nondimeno è dovere di tutti incominciare a pensarci, affinché una rivoluzione tecnologica tendente a salvare il pianeta e migliorare la vita dei suoi abitanti non si trasformi in una catastrofe assurda ed irrimediabile. Giuseppe Perotti VERONA

Giuseppe Perotti

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