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Così le sorelle ebbero gli euro che mancavano

(...) veniva il momento di rientrare a casa, annunciato dall’altoparlante con l’inno «È l’ora che pia la squilla fedel...». Ricordo che quella melodia, nei pomeriggi fioriti di primavera, mi sembrava uno struggente richiamo celeste, capace di accendere, in noi, piccoli bambini alieni ed incapaci di immaginare la nostra vita da grandi, quasi una sorta di prenatale ricordo e di ardente desiderio di cielo. Ritornai in quel giardino solo molti decenni più tardi, avendo ereditato da un anziano collega di studio una simpatica causa agraria, a mezzo della quale le suddette suorine cercavano di riprendere il possesso di un piccolo incantevole fondo, sito sul colle di San Pietro, a dominio della città. Il mezzadro, che lo aveva coltivato per decenni, se ne era praticamente impadronito, ed aveva assunto la sgradevole abitudine di sventare ogni tentativo delle suore di presentarsi sul fondo a suon di contumelie ed offese alle Suore ed al Loro Principale. Infilammo un filotto favorevole di sentenze fino alla Cassazione, dove le preghiere dell’intera congregazione ebbero certamente un ruolo preponderante e, superate alcune non banali problematiche esecutive (l’ex mezzadro scacciato una prima volta dall’ufficiale giudiziario, rientrò in casa attraverso una breccia che aveva appositamente aperto nel muro posteriore dell’edificio), riuscimmo finalmente a riportare il fondo nella disponibilità della Congregazione proprietaria. Fu forse il felice esito della lite, o la prossimità tra la casa generalizia della congregazione e la sede della banca, a far sì che, in quel periodo, fossi da quelle suore richiesto di fare da relatore al loro Capitolo Generale. Dissi incautamente di sì, perché la data poi fissata per il capitolo, e cioè il 27 dicembre, non era proprio quella ideale per la pace natalizia familiare e quella mia stravaganza, di precipitarmi dalla montagna a Verona per prendere parte ad un incontro di suore, venne accolta dai miei familiari solo come un sicuro sintomo che la mia salute mentale declinasse ancor più velocemente del previsto. Del discorso che tenni al Capitolo, non ricordo i contenuti, ma gli effetti. Verso il ventesimo minuto una suora delle ultime fila si sentì male e dovette essere soccorsa dalle sorelle, e benché da quel momento cercassi di tagliar corto, non riuscii a terminare senza che altre due suore avessero necessità di essere a loro volta soccorse. Nonostante le assicurazioni della Madre Superiora, che le mie considerazioni erano state apprezzate da tutte le suore con meno di novantanni e che erano riuscite perniciose solo ad alcune, di età più avanzata e con evidenti acciacchi, io non mi diedi pace; passi essere noioso, come tutti i relatori ufficiali, secondo Theodor Fontane, ma riuscire addirittura semi-letale mi parve troppo. Alcuni anni più tardi, più o meno nello stesso periodo dell’anno, attendevo in banca la visita della Madre Generale di un’altra Congregazione femminile veronese, che me ne aveva fatto richiesta. Arrivò una suora minuta, anziana e claudicante accompagnata da una giovane novizia. L’anziana si qualificò per la superiora, mi disse che si era rotta il femore circa un mese prima e che aveva dovuto sforzarsi per venire in banca, ma quello che aveva da dirmi era troppo importante. Dopo avermi rammentato, che Le suore pagano sempre i debiti ed i rapporti che il Suo Istituto aveva avuto nel tempo con la Banca, mi chiese cosa era mai successo alla Banca di Marani e di Zanotto, perché fosse ora presieduta da uno che non era nemmeno capace di leggere; e si spiegò subito dicendo che nella sua richiesta di contributo per acquistare un pulmino per i bambini disabili, cui era dedicata la loro scuola, Lei aveva ben precisato che il costo era di trenta mila euro, mentre quegli analfabeti della banca e del suo presidente gliene avevano liquidati 20.000,00. Temetti che il bastone destinato a sostenere quell’anziano femore appena ricomposto potesse essere usato per rendere ancor più eloquente il discorsetto, ma gli occhi della Madre Superiora pur determinatissimi rimanevano miti. Pensai che i sentimenti e gli occhi di quella intrepida suora, non dovevano essere molto diversi da quelli di Gesù, mentre rovesciava i banchi dei cambiavalute e dei venditori di colombe; così, anziché partire con quel piccato e saccente discorsetto che ero andato preparandomi mentalmente sulla politica della nostra banca di sostenere solo parzialmente le spese al fine di coinvolgere e responsabilizzare i richiedenti, abbassai i miei occhi e la mia voce assicurandole, che avendo proprio allora e miracolosamente riacquistato la capacità di leggere, Lei e le sue sorelle avrebbero avuto subito quanto mancava. Carlo Fratta Pasini

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