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Cina e India non possono fermarsi

Nel corso della conferenza stampa a conclusione dei lavori dei G20 di Roma, non particolarmente densi di risultati, il nostro primo ministro Draghi ha cercato di mitigare la delusione degli ascoltatori motivando la difficoltà di alcuni Paesi asiatici nel definire una data precisa per il raggiungimento dei parametri di riduzione della CO2 nell’atmosfera – è stato indicato un non meglio precisato metà secolo, al posto del già fissato 2050. Devo ammettere che prima della Conferenza mi ero chiesto come fosse possibile che personaggi dell’importanza dei premier di Cina, Russia e India, i primi due non presenti, potessero opporsi a quella scadenza e anzi chiedere di spostarla di dieci anni la Cina e di venti l’India, pur non ignorando le catastrofiche previsioni climatiche degli scienziati. Ma le parole di Draghi durante la Conferenza mi hanno aiutato a capire come un Paese come la Cina, che produce il 50% dell’acciaio mondiale utilizzando forni a carbone, non possa riuscire in soli trent’anni a convertire i suoi processi industriali affinché utilizzino energie rinnovabili. A meno che - e questo lo aggiungo io – non metta a rischio quel suo attuale primato e, soprattutto, l’obbiettivo perseguito da anni e quasi raggiunto, di superare gli Usa nella competizione economica mondiale (dopo il caso Ilva di Taranto non possiamo insegnare nulla a nessuno in termini di conversioni energetiche). Le considerazioni fatte per la Cina valgono, con qualche adattamento peggiorativo, per India e Russia. L’India, perché non vuol restare troppo indietro rispetto agli altri Paesi asiatici che, seppur più piccoli, sono meglio disposti sotto il profilo dello sviluppo industriale e socialmente più agili (vedi Corea); la Russia, perché non può accettare di perdere il ruolo di potenza guida dei Paesi posti a cerniera tra Europa e Asia. Benché il tema sia di importanza vitale, è anche possibile che qualcuno giochi sporco. Cioè che qualche Paese dichiari la sua impossibilità di raggiungere il traguardo fissato per poter sfruttare più a lungo il suo potenziale attuale portandosi in posizione di vantaggio nella competizione ancor oggi combattuta con «armi» che devono essere sostituite da quelle nuove di cui non conosciamo appieno l’efficacia. Spero che non accada: sarebbe criminale. Luciano Cenna VERONA

Luciano Cenna

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