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La posta della Olga

Se per essere green dobbiamo smenarci

di Silvino Gonzato

I sindaci della provincia - scrive la Olga - obbediscono ma, da quello che ho letto, non credono che, fermando le auto, la qualità dell’aria migliori. In effetti, è come se - cito il Titta Frusìn del bareto - per diminuire di peso ci limitassimo a tagliarci le unghie. Ma siccome è più facile fare una firmetta in calce a un’ordinanza che limita la circolazione delle auto nei giorni di maggior inquinamento che tappare i camini delle case e le ciminiere delle industrie o inventarsi qualcosa di nuovo, ecco che tutti i sindaci o quasi, pur storcendo il naso, si piegano alle direttive imposte da anni dal manuale senza o con scarso successo. Ovviamente i cittadini non la prendono bene di dover rinunciare all’auto, di cui pagano bollo e assicurazione, per lasciarla in garage, anzi s’incacchiano ma oltre a incacchiarsi non possono fare altro. Se vogliono uscire dai paesi per raggiungere il capoluogo lo possono fare solo in bici o in biroccio, facendo lavorare le gambe o il cavallo. È vero che si potrebbero comprare un’auto nuova, di quelle che dai tubi di scappamento buttano fuori veleni tollerabili o di quelle elettriche che fanno zzz… come le zanzare, ma ne hanno una più o meno vecchiotta che funziona ancora e che magari lustrano ogni giorno, e poi comprare un’auto, specie di quelle ecologiche, costa. Può essere che siano ancora impegolati nel bidone del superbonus che avrebbe dovuto essere gratis e non lo è stato, che debbano cambiare il frigo o la lavatrice, può essere insomma che non abbiano nessuna intenzione di spendere per essere green se essere green vuol dire smenarci. E se non ci credono i sindaci al fatto che, fermando le auto, si abbattano le polveri sottili, perché ci devono credere i cittadini che magari ne hanno le scatole piene di questa Europa che ci vuole far mangiare insetti e carne sintetica, che ci sta massacrando l’agricoltura in nome di un green che è soprattutto ideologico? «Che i le magna quei de Bruxèl i panaroti» sbotta il mio Gino.

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