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La posta della Olga

Se la politica si dà all’ittica

Mai saputo che il coregone si chiamasse anche lavarello - scrive la Olga - per cui quelle poche volte che andavamo a mangiare il pesce sul lago io ordinavo il coregone mentre il mio Gino preferiva il lavarello. «Me par che i sia stessi» dicevo a mio marito ma lui insisteva sul fatto che tra l’uno e l’altro ci fosse una sostanziale differenza di sapore. Adesso, però, che in seguito alla decisione presa tre anni fa dal governo Conte di vietare il ripopolamento del coregone-lavarello che pur corrisponde all’80 per cento del pescato ma che sembra responsabile della progressiva sparizione del carpione, se dovessimo tornare sul lago dovremmo accontentarci dell’anguilla che non piace a nessuno dei due. Oppure andare sul lago di Como o su quello d’Iseo dove il coregone-lavarello continua a essere libero di ripopolarsi perché non è in competizione col carpione che in quelle acque non esiste. L’allora ministro dell’Ambiente partiva dal presupposto che il coregone-lavarello, immesso nel lago nel 1918, è una specie foresta come potrebbero esserlo il piranha o il candirù, mentre il carpione è nostrano. È lo stesso criterio su cui si è basata la nostra ex assessorina Pippi Calzelunghe per far abbattere i pini marittimi colpevoli di non essere autoctoni ma che, guarda caso, avrebbero intralciato il passaggio della futura filovia. I pescatori professionisti, quelli che campano di quello che pescano sono furiosi: con tutte le rogne che aveva, compreso il Covid, il governo Conte ha trovato anche il tempo di darsi all’ittica. Dal 1918 è passato più di un secolo e in tutto questo tempo è impensabile che il coregone-lavarello e il carpione non abbiano trovato il modo di convivere, se non altro perché condividono lo stesso destino, quello di finire in tavola. Ed è inconcepibile che il ministro si sia basato su generici studi scientifici per mandare a ramengo un aspetto vitale dell’economia del lago di Garda. La politica che si è sempre occupata di caregone belle comode, compito in cui è maestra e che non sa distinguere una trota da un’anguilla, lasci stare il coregone. I pescatori la sanno più lunga dei generici studi scientifici e dei ministri, ogni mattina all’alba sono fuori con le loro barche dai nomi di santi o di donne amate, conoscono il lago più della loro casa, ne annusano le acque più generose, ne custodiscono i segreti che si tramandano di padre in figlio per generazioni, vale più la loro esperienza che le teorie di chi sta dietro a una scrivania a baloccarsi con pesci di carta. Ho conosciuto molti anni fa un pescatore di Garda che mi pare si chiamasse Rito, curiosa storpiatura onomastica, il quale mi raccontava della sua vita solitaria cullata dalle onde, durissima d’inverno quando i bordi della barca s’imperlavano di ghiaccio. Ho imparato tanto tranne che coregone e lavarello fossero lo stesso pesce.

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