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La posta della Olga

Quella pioggia marzolina che bagnava il fico e il moro

Ci vuole ben altro per mettere fine alla siccità - scrive la Olga - che questa «pioggerellina di marzo/che picchia argentina sui tegoli vecchi del tetto/sui bruscoli secchi dell’orto/ sul fico e sul moro ornati di gèmmule d’oro». Ma intanto gli scettici che pensavano che non dovesse più piovere, che si fossero esaurite anche le riserve d’acqua del cielo si sono dovuti ricredere: le nuvole sono ancora capaci di assolvere al loro dovere idraulico ma per ora hanno svolto solo un compitino facendo cadere solo poche gocce, il meccanismo non si è inceppato ma deve dimostrare di saper funzionare ancora appieno ristorando i campi assetati, ripulendo l’aria e facendoci riscoprire l’utilità degli ombrelli inoperosi da mesi. «Tól su l’ombrèla che pióe» dico al mio Gino che sta uscendo per andare al bareto. «La gà le maréle róte - mi fa ­- ma par quel che pióe me basta la baréta». Lo guardo dalla finestra mentre inforca il suo rochetón di bici. In effetti gli basta la baréta co’ le grónde e dubito che questa pioggerellina bagni il fico e il moro, el moràr come disémo noaltri. A me le poesie piacciono ma ne ricordo solo due o tre dai tempi della scuola, e quella del figàr e del moràr mi piace più delle altre perché è ingenua e fresca e spalanca le porte alla primavera. Almeno così era quando è stata scritta ma adesso le stagioni non hanno più porte e ci dicono che è colpa nostra se il clima è sconvolto, così ogni volta che me scapa un stranùso all’aria aperta chiedo scusa mentalmente all’ecologista Bonelli anche se mi è simpatico come le ortìghe. Mentre scrivo è tornato sfacciatamente il sole che ha asciugato e disperso le nuvole. Le poche gocce che sono cadute non sono servite neanche alla sparazina che ho sul pontesèl e immagino el Vacamòra che guarda ostiando i suoi campi suti e che per seminare nella terra dura fa i buchi col trapano. Domenica scorsa durante la messa il nostro parroco, don Addolorato, ha pregato per la pioggia ma non è servito a niente o quasi. Alla fine ci ha dato la benedissión suta, senza acqua santa nell’aspersorio, per risparmiare. Stasera rileggo "La pioggia nel pineto" a voce alta perché senta anche il mio Gino. «Ascolta Gino, piove sulle tamerici». «Cossa èle?» mi chiederà. E io non saprò rispondergli.

Silvino Gonzato

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