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La posta della Olga

Quel giorno che il Gino imbottigliò la nebbia

di Silvino Gonzato

Erano anni che non la vedevamo - scrive la Olga - e un po’ ci dispiaceva. Gli autunni e gli inverni senza nebbia ci sembravano incompiuti. La nebbia in Valpadana era una costante delle previsioni meteorologiche. Non c’era Valpadana senza nebbia e non c’era nebbia senza Valpadana. La Rai trasmetteva un tempo di una partita di serie A, quasi sempre senza gol. «’Sa guardito, Gino - chiedevo a mio marito - no se vede gnente, gh’è el schermo biso». «L’è la nèbia» mi rispondeva. La nebbia favoriva gli innamorati, un baséto sul Lungadige, un strucón, l’Àdese che fuma. «No, Toni, i ne vede». «No, Maria, no i ne vede». La Alice è solita raccontare che se quella sera non ci fosse stata la nebbia non sarebbe mai diventata nonna. Io trovavo molto romantici i lampioni accesi nella nebbia, mi mettevano dentro un certo struggimento che non so descrivere. Il mio Gino, quando eravamo morosi, riempiva di nebbia la bottiglia dell’idrolitina, la tappava e poi, una volta rientrato a casa, la stappava e annusava. Diceva che quell’odore ferroso gli apriva i bronchi. Ognuno può trovare nella nebbia l’odore che vuole. In piazza Erbe odorava di frìtole, in Sottoriva sapeva di vino stantìo di cui erano intrisi i tavoli delle vecchie osterie, davanti al Duomo profumava d’incenso. Quando la nebbia ci ha abbandonato, io e il mio Gino siamo andati a Mantova sicuri di trovarne almeno un po’ ma, prendendoci per il c…, ci hanno spediti a Ostiglia e poi a Pegognaga dove c’era un gran sole. Ora che la nebbia è tornata, ce ne restiamo a casa in compagnia dei nostri acciacchi di veciòti e la guardiamo dalla finestra da dove vediamo solo noi stessi riflessi nei vetri.

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