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La posta della Olga

In Bra non è tradizione il rogo della vècia

Ci sono delle tradizioni, come il rogo della vècia - scrive la Olga - che sarebbe meglio lasciar perdere. Nel veder bruciare in Bra el puòto de pèssa che nelle intenzioni rappresenta il vecchio anno in sembianze femminili ho sempre provato avversione come davanti a un fatto becero e delittuoso. Trattandosi poi di un rito contadino, non vedo perché debba essere celebrato in Bra, dove c’è chi non ha mai visto una gallina viva e dove la tradizione del grande falò è recente e quindi non è neanche tradizione ma una trasposizione forzata di una consuetudine legata alla vita dei campi. Ma domani, giorno dell’Epifania e dei fuochi, la vècia non tornerà in Bra per essere sacrificata tra le fiamme. Al posto del falò ci sarà uno schermo gigante che riprodurrà un fuoco «bello, iocundo, robustuoso, e forte» come cantava San Francesco. Afflato mistico? Credo di no. Piuttosto, come è stato annunciato, è una questione pratica di lotta all’inquinamento, un pretesto ideologico, dicono gli oppositori politici. Per me comunque una liberazione. Nella vècia che brusava (perché non un vècio e magari patriarcale?) vedevo le supposte streghe dei roghi medioevali, spesso pòre dòne senza colpa, e ravvisavo una certa animalità appagata in chi, seduto comodo in un bar del Listón col bicchiere in mano, si divertiva nel mentre le strasse abbrustolivano e si contorcevano e dentro di esse una sagoma nera graffiava le fiamme prima di afflosciarsi ed essere ridotta in cenere. In campagna, dove la tradizione è salda, continuino pure a fare i fóghi ma, per carità, senza brusàr le vèce. Che sia solo un omaggio al fuoco purificatore intorno al quale intessere ciàcole briose. Purtroppo l’uomo, nella sua rozzezza di sentimenti, ha sempre bisogno di qualcosa di nuovo da odiare e nella vècia trova un nuovo, seppur simbolico bersaglio. Brusa, bruta vècia, brusa!

Silvino Gonzato

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