Riusciranno mai a Cologna Veneta - scrive la Olga - a incastrare il piromane che da tredici anni appicca il fuoco all’erba e agli arbusti delle sponde dei fiumi, dei fossi e dei cigli delle strade senza che nessuno l’abbia mai visto o intravisto all’opera e senza che ci sia l’ombra di un sospettato? Lo chiamano Attila, impropriamente, dico io, perché se è vero che dove passava il re barbaro non cresceva più l’erba, a Cologna l’erba, dopo essere stata bruciata dal piromane in questione, ricresce sennò questi non potrebbe reiterare il reato. Il filosofo-psicologo-sociologo Strusa, interpellato al bareto sullo strano caso di Cologna, sostiene che si tratti di «un piromane delicato le cui azioni non mirano mai a provocare devastazioni come succede in tante altre parti d’Italia ma sono circoscritte ai margini erbosi verso i quali avrebbe un’avversione maniacale che, perdurando ininterrottamente da tredici anni, offre la rappresentazione di un individuo che, al contrario dell’erba, non cresce». Secondo el professor Strusa, che distingue tra piromane e incendiario - il primo è malato più o meno di mente mentre il secondo ha tutte le valvole cerebrali a posto e attraverso l’incendio dei boschi intende allargare i prati dove mandare a pascolare le pecore - secondo el professor, dicevo, il piromane di Cologna non può essere un teppista perché dopo un po’ i teppisti si stufano e tendono a differenziare i campi d’azione. «Nessun teppista fa per tredici anni la stessa cosa senza ricevere una giusta retribuzione comprensiva dell’indennità di rischio» ha detto mentre gli avventori annuivano. Ne esce quindi un identikit psicologico di una persona disturbata che deve avere qualche problema con l’erba: semplicemente non gli piace ma, trattandosi, nel caso, di erba marginale (margini di strade, fiumi e fossi), vuole impedire ai pastori di portare a pascolare le greggi sulla pubblica via interrompendo il traffico delle automobili e quello delle pantegane sulle sponde dei corsi d’acqua. Può darsi anche - cito sempre el Strusa - che l’improprio Attila abbia una questione personale con un pastore da cui tredici anni fa ha ricevuto un torto che in così tanto tempo non è riuscito a digerire, e allora non si tratterebbe di piromania ma di regolamento di conti. Il professore ha sciorinato tutte le sue tesi ma si è detto impossibilitato a trarre delle conclusioni in considerazione del fatto che gli unici dati certi di partenza sono l’erba bruciata e il nome, Attila, con cui è stato battezzato un fantasma. «Secondo mi - si è intromesso l’avventore Pissalongo - Àtila el ghe l’à col mandolato de Cologna che no’l pol rosegàr parchè el ga el diabete o l’è sensa denti». Il professore non ha escluso neanche questa ipotesi anche se l’ha ritenuta remota.