Il fantasma dell’Opera e la campagna elettorale

ri per mesi e mesi. Dell'Opera non gliene frega più un piffero a nessuno. Non sono qui a dire che l'Opera sarebbe stata utile o inutile, dico solo che è stata sepolta con un'alzata di spalle perfino dal geometra Sparapàn che pure ne era stato uno dei paladini, al punto di darlo a vedere anche reggendosi le braghe con le tirache che prima di allora non aveva mai portato. Sepolta, ma riaffiorante in campagna elettorale come un fantasma. Verona è immobile come i Puòti di palazzo Turchi perché non ha la filovia che tutto muove, la salvifica filovia che però è ancora carta, non bollata. Sembra dolersene anche il ministro delle Infrastrutture. Doglianza subito raccolta. Il pensiero è ancora quello che alle tirache si attaccherebbero festosi tutti quei cittadini che si ostinano a scarrozzarsi in auto, liberando così la città dal traffico. A parte che questa storia bisogna mettersela via perché chi va in macchina continuerà ad andarci, chi gonfia ancora il lenzuolo del fantasma filoviario sbaglia i tempi. La gente ha altre cose che le rùmano nella testa: la guerra nel cuore dell'Europa, le bollette stratosferiche, i prezzi alle stelle, gli ambulatori vuoti per l'esodo dei medici che hanno raggiunto l'età della pensione, le baruffe condominiali per lo stramaledetto superbonus, la pandemia (nessuno fa la quarta dose e se un ottantenne vuole farla lo mandano a 30 chilometri da casa). Tutto fa brodo in campagna elettorale ma il brodo della filovia non se lo pappa nessuno. Il solo pensare a nuovi cantieri e a nuove stragi di alberi mette apprensione e tristezza. Forse un giorno, quando saremo fuori dalle pétole potremo considerare mezzi di trasporto pubblico agili e magari volanti (la filovia è ormai roba da Buìcio) ma adesso non ne abbiamo né il tempo né la voglia. Mi preoccupano di più le patate a due euro al chilo. (...)

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