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Gaspare, il boscaiolo che fece il sindaco a vita

di Silvino Gonzato

Al Gaspare che faceva il boscaiolo - scrive la Olga - tre o quattro abitanti del suo piccolo paese della Lessinia chiesero se volesse fare il sindaco. Il Gaspare smise di spalare la neve e, appoggiato al manico della pala, rispose: «Ghe domando a la me dòna, l'è ela che la comanda». In paese nessuno voleva fare il sindaco e c'era il pericolo che si candidasse uno da fuori. Il Gaspare non era legato ad alcun partito, anzi odiava la politica ma non occorreva averci a che fare perché il sindaco doveva essere solo una persona onesta, di buon senso. Abitava in una bella casa di tronchi ai margini di un bosco che, specie quando pioveva, spandeva un fresco profumo di pini. Fumava tabacco di trincia, non disdegnava il fiasco, citava spesso il padre, anche lui boscaiolo, scriveva poesie. La moglie Armida era infermiera e faceva le punture a chiunque le portasse un sedere da bucare. Il Gaspare accettò di fare il sindaco e fu eletto all'unanimità. Nominò un solo assessore che, quando dal paese sotto saliva il prete a celebrare la messa, faceva anche il sacrestano. Il Gaspare fu un buon sindaco, aveva molti più amici che nemici e i nemici lo erano solo per invidia. Fu sindaco a vita e non ci fu bisogno che gli chiedessero di candidarsi a ogni elezione, era scontato che toccasse a lui e che nessun altro lo avrebbe battuto. È al Gaspare che ho pensato quando il governo, tornando al passato, ha abolito i limiti di mandato ai sindaci dei piccoli paesi in cui può capitare che, non volendo nessuno caricarsi della responsabilità di amministrare il Comune, Roma mandi un commissario foresto che non conosce la gente del posto, non ha una moglie infermiera che fa le punture e non è capace di s-ciapàr le soche.

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